SE BANCA CENTRALE EUROPEA e Federal Reserve americana cominciano a ballare fuori tempo, il rischio non è solo quello di un brutto spettacolo, ma che salti quel poco di sincronia che è rimasto tra le due sponde dell’Atlantico. Le tensioni sui mercati di questi giorni, oltre che per la crisi ucraina, ne sono la dimostrazione. Sui tempi di uscita dalle misure straordinarie introdotte in tempi di pandemia, come anche sulle contromisure per fermare le fiammate inflazionistiche e la riduzione dei tassi di interesse, Europa e Stati Uniti hanno infatti visioni distinte e distanti (per usare una vecchia formula cara a Francesco Cossiga), e hanno spartiti diversi: la Fed, più aggressiva, suona un ‘andante’, la Bce, più prudente, si muove con un ‘adagio’. Tuttavia, questo sfasamento può mettere a rischio la ripresa economica e, soprattutto, fa perdere il passo al Vecchio Continente. I primi effetti sono visibili sul tasso di cambio. Il dollaro è passato da essere scambiato a 1,23 sull’euro a inizio 2021 fino a scendere a 1,13 oggi (circa l’8% in meno). Questo ha provocato un duplice effetto. Da un lato, molte imprese europee sperano in una spinta alle esportazioni grazie all’euro più debole, anche se dobbiamo considerare che la capacità competitiva dei nostri prodotti non si basa su prezzi bassi quanto sulla loro qualità e unicità. Dall’altro lato, poiché le materie prime vengono sempre prezzate in dollari, agli stratosferici aumenti registrati dalle commodities rispetto ai livelli pre-pandemia (petrolio +13%, rame a 57%, gas salito fino a +723%), bisogna aggiungere quelli legati al tasso di cambio. Benzina sul fuoco delle difficoltà per le nostre imprese manifatturiere. Qualcosa di analogo sta accadendo anche in Francia (ma lì, grazie al nucleare, l’elettricità è aumentata meno) e in Germania (il cui Pil nel quarto trimestre del 2021 è arretrato). Ulteriore dimostrazione, se ...
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