MANCA un pezzo nel dibattito sui mini Bot, scatenato dopo il commento di Mario Draghi (nella foto) su questo strumento. Come avevo già fatto rilevare a inizio aprile sulle pagine di questo giornale e come, prima di me, avevano scritto su un altro quotidiano Becchi e Zibordi, è stata prima di tutto di alcuni economisti tedeschi – tra cui l’ex chief economist di Deutsche Bank, Thomas Mayer – l’idea che l’Italia potesse introdurre dei mini Bot. La loro proposta veniva da un’osservazione pragmatica: lo Stato italiano, da 25 anni, spende meno di quello che incassa, non si indebita per pagare pensioni o stipendi, ma per pagare interessi su interessi, è costantemente in ‘avanzo primario’, cioè tassa più di quanto spenda. Siamo pure l’unico Paese al mondo ad aver perso il 20% di produzione negli ultimi venti anni. I tedeschi devono aver pensato che se vogliono salvare la moneta unica ed evitare il nostro ritorno alla lira, prima o poi, devono permetterci di fare una mini-manovra espansiva. Il mini Bot ce lo permetterebbe.
Ora si è scatenata una discussione di lana caprina sul perché i mini Bot non si possano fare. «Non sono una cartolarizzazione – ho sentito dire – perché si possono cartolarizzare i crediti e non i debiti». I detrattori della norma sostengono che il Tesoro non possa trasformare in carta i debiti dello Stato. Peccato che già accada: i creditori dello Stato vendono già i crediti vantati verso Roma. E sono pure ben quotati, poiché sul mercato si sa che lo Stato pagherà, il tema è quando.
I MINI BOT, al di là di sterili tecnicismi, non farebbero altro che regolamentare una situazione che di fatto esiste e che vede i crediti dello Stato avere una sorta di mercato secondario. Né il disavanzo pubblico aumenterebbe: parliamo sempre degli stessi debiti. Io credo che in realtà l’Unione abbia paura dell’effetto che potrebbe fare, nel Paese, se tornassimo padroni di un minimo di sovranità monetaria.
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