
PIÙ DEL 28% tra gennaio e fine agosto. È il guadagno medio registrato dai fondi comuni che investono in azioni del settore tecnologico, soprattutto nei colossi statunitensi saliti alla ribalta grazie all’avvento di internet e del digitale. Tra i prodotti del risparmio gestito, i fondi specializzati nei titoli hi-tech sono quelli che, dall’inizio del 2023, hanno regalato le maggiori soddisfazioni agli investitori, superati soltanto dagli azionari Grecia (+45% circa, secondo le rilevazioni di Morningstar) che hanno beneficiato dei rialzi record della borsa di Atene. Durerà ancora questo momento magico delle azioni tecnologiche? Se lo chiedono in molti nella comunità finanziaria internazionale, dove non pochi analisti e gestori consigliavano prudenza già prima dell’estate, per una ragione molto semplice: il comparto hi-tech è da sempre molto volatile e già in passato ha avuto bruschi capitomboli dopo mesi di rialzi. È quanto è accaduto per esempio nel 2022 quando anche i migliori gestori azionari tecnologici hanno subito perdite di oltre il 40%, dopo 24 mesi di boom, cioè dopo un guadagno di oltre il 70% nel 2020, seguito da un +20% circa nel 2021.
A guidare la classifica dei fondi più redditizi dall’inizio di quest’anno è oggi un prodotto di J.P. Morgan Asset Management, l’US Technology Fund X, che vanta da gennaio una performance positiva di quasi il 50% (dati Morningstar aggiornati al 1° settembre). Segue a breve distanza un fondo di un’altra casa di gestione del risparmio statunitense, il Science and Technology Equity Fund di T. Rowe Price con una performance positiva del 49,5%. Terzo un fondo di Goldman Sachs Asset Management, l’US Technology Opportunities Equity Portfolio, che ha guadagnato più del 42% in 8 mesi. A dare sprint al portafoglio di tutti e tre i gestori sono stati soprattutto i titoli di alcuni giganti dell’hi-tech statunitense, campioni dell’era digitale. È il caso per esempio di Meta, il gruppo proprietario dei grandi social network come Facebook e Instagram, le cui azioni hanno messo a segno un balzo di ben il 137% nei primi 8 mesi del 2023.
È invece attorno al 60% il guadagno in borsa da gennaio registrato dal leader mondiale del commercio elettronico, Amazon, che supera di 10 punti il pur non trascurabile rialzo del 49% registrato invece da Alphabet, la società proprietaria di Google. Positiva ma un po’ più modesta la performance di Microsoft (+33% circa) ben lontana dal titolo che sul listino del Nasdaq ha fatto più di tutti faville. Stiamo parlando di Nvidia (nella foto il presidente e ceo Jen-Hsun Huang), azienda specializzata nello sviluppo di di processori, che in 8 mesi ha guadagnato quasi il 220% grazie alle prospettive di sviluppo dei sistemi basati sull’intelligenza artificiale. Sono numeri da capogiro che ovviamente fanno felici chi aveva nel portafoglio questi titoli e ha saputo acquistarli al momento giusto. Rialzi di tal genere, però, pongono gli investitori di fronte a a un punto interrogativo, quasi impensabile nei decenni scorsi.
Da sempre, le borse americane sono considerate le più liquide, giacché le aziende quotate sono migliaia, con una varietà di settori e dimensioni che non ha eguali al mondo. Nell’ultimo anno, però, il mercato statunitense è diventato molto concentrato: quasi quattro quinti dei rialzi registrati dagli indici sono dovuti infatti alle performance di pochi titoli, cioè delle 10 azioni a maggiore capitalizzazione tra cui figurano quasi tutti i maggiori colossi della tecnologia. Cosa sarebbe accaduto senza le big tech sul listino? La piazza di Wall Street non avrebbe viaggiato di sicuro con il turbo.