Giovedì 25 Aprile 2024

Capitali pubblici nelle banche? Il solito errore

Bruno

Villois

L’allungamento del blocco dei pubblici esercizi imporrà al Governo un’ulteriore fase di ristori, che esporranno tutte le attività commerciali a chiudere il peggior anno dal dopo guerra ad oggi. Difficilmente il 2021 sarà migliore, con un prevedibile aumento della disoccupazione, e gravi problemi per le PMI, sempre più in difficoltà a trovare credito dalle banche. A sua volta il sistema bancario si sta avviando verso una nuova fase di consolidamenti, dopo la fusione tra Intesa e Ubi, il dialogo tra Crédit Agricole e Creval, e quello tra Banco Bpm e Bper, con ampio consenso alla fusione da parte dell’azionista più importante di quest’ultima. Ma a fare maggior scalpore è stata l’uscita del numero 1 di Unicredit, Mustier, che si è auto dimissionato, mettendo la governance in affanno per ricercare con urgenza un nuovo ceo. L’arrivo nel cda dell’ex ministro del Tesoro Padoan, padre del salvataggio pubblico di Montepaschi, oggi presidente designato, lascia presagire l’acquisizione della banca senese e magari molto di più, con un certo numero di Popolari e di Credito Cooperativo pronte a finire sotto l’ombrello di una Unicredit partecipata da Cdp, cioè dal capitale pubblico. Praticamente, un ritorno indietro di trent’anni. In un mondo globale, che nonostante il Covid resterà tale, anzi si rafforzerà, sarebbe un grave errore seguire la strada di una nuova grande banca a guida pubblica. Oggi andrebbero rafforzati i capitali privati italiani o esteri nelle maggiori banche, permettendo agli istituti così rafforzati di acquisire a loro volta partecipazioni o aderire a fusioni con banche estere soprattutto europee. In questo modo si creerebbe il sostegno creditizio migliore alle imprese che esportano.

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