Giovedì 25 Aprile 2024

Vaccini e calcio, contropiede di Boris Johnson. Il leader forte che manca all'Europa

Ha ribaltato a suo favore due crisi, il primo ministro britannico fedele sempre al motto: il Regno Unito prima di tutto

Il premier britannico Boris Johnson, classe 1964, ha fatto muro contro la Superlega

Il premier britannico Boris Johnson, classe 1964, ha fatto muro contro la Superlega

Nell’estate di due anni fa fu accusato – bazzecole – di avere ingannato la regina, ottenendo la chiusura del Parlamento (non c’era riuscita neanche la Luftwaffe) per impedire ai no-Brexit di legiferare contro i suoi piani: con quella faccia da schiaffi, trascinò la Corona nella più dura lotta politica mai vista a Westminster. E un anno dopo finì in terapia intensiva causa Covid, proprio dopo aver detto che era meglio contagiarsi tutti per arrivare all’immunità collettiva.

Insomma, un disastro. Oggi invece guida una nazione che ha 40 milioni di vaccinati, i pub aperti e le palestre pure. E per non rovinarsi il weekend, ha chiuso in un solo giorno quella che pareva la più grande crisi mondiale del calcio da quando è stata inventata la palla, cacciando due urla alle squadre più ricche e famose del pianeta.

Chi diamine è Boris Johnson? O meglio, quanti Boris ci sono? Ancora meglio: dov’era finito, e da dove è tornato? Questo zazzeruto latinista fuori forma, ricco e trasandato come una caricatura settecentesca di William Hogarth – pance e parrucche, l’immagine del potere – è stato il sindaco di Londra più amato. Impossibile connubio tra accento di Oxford e impermeabile da tenente Colombo, sbucava ai tornelli della metro a contestare gli scioperi, in difesa dei pendolari. Pronto a una grande carriera.

Poi capitò il referendum sulla Brexit. Boris divenne irriconoscibile. Si inabissò, da malefico ministro degli Esteri, nell’imbambolato governo di Theresa May: così premuroso che, non appena quest’ultima prendeva il raffreddore, tutti si giravano a guardare se Boris non avesse spalancato la finestra. Non lasciò nulla di memorabile, tranne un cadavere – la May, appunto – passando sul quale entrò a Downing Street. Il debutto da premier, lo abbiamo ricordato. Sulla Brexit, ha quasi riacceso la guerra civile irlandese, e se la Scozia è ancora lì forse lo si deve al fatto che non è un’isola. Perfino Trump prendeva Londra a pesci in faccia. Poi Boris, il sindaco del popolo, è tornato.

Ecco, il popolo. Rispunta il quesito: chi è Johnson? Un populista sovranista o un conservatore britannico, categorie distanti quanto le estremità dell’impero? Forse è solo un pragmatico. Contro la tradizionale politica tory, e malgrado si prevedesse il deficit peggiore dalla seconda guerra mondiale, Boris si è impegnato in novembre a garantire oltre 300 miliardi di sterline in prestiti alle imprese, stremate dalla pandemia. Tipo governo italiano, però con l’aggiunta delle vaccinazioni.

Ha rastrellato fiale ovunque, pur negandolo di fronte alla Ue, con la faccia da tolla standard. Nei mari burrascosi della politica internazionale, progetta di alzare il tetto dell’arsenale nucleare inglese da 180 a 260 ordigni, e annuncia una spesa per le Forze armate di 64 miliardi di sterline in quattro anni: il balzo più forte da tre decenni. Con precedenza alla Royal Navy: "La difesa del Regno davanti a tutto – ha detto – dobbiamo essere fedeli alla nostra storia". Si può, dalle altezze di Nelson, passare alle lavate di capo al Chelsea o al Liverpool, e propugnare l’azionariato popolare tra i tifosi? Si può. Boris è una grande cortina di nebbia sulla Manica: dentro può contenere di tutto. Anche una caricatura, certo. E, da qualche mese, uno strano leader.