Mercoledì 24 Aprile 2024

Un partito tutto suo? Rischia il flop "Luigi è popolare però non porta voti"

I sondaggisti scettici sulle reali possibilità di una nuova formazione centrista guidata dal ministro degli Esteri

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di Ettore Maria Colombo

Quanto può valere un partito guidato da Luigi Di Maio? Poco. E quanto inciderebbe una scissione da lui guidata? Altrettanto poco. Ma a che livelli è la fiducia degli italiani nel ministro degli Esteri? Buona. Certo, domande difficili per i sondaggisti. Stabilito che, per la supermedia di Youtrend, il M5s è crollato al 12,3% nella rilevazione del 16 giugno (-0,7% rispetto un mese fa), partiamo dall’indice di popolarità.

Secondo Antonio Noto di Noto Sondaggi, "il livello di conoscenza è alto. Il tasso di fiducia per Di Maio è al 24-25%. Sta nella parte bassa della classifica, ma è cresciuto molto rispetto a un anno fa, quando era al 18%, anche se per aver un buono, o ottimo, indice di fiducia dovrebbe superare il 30%". Per Renato Mannheimer "la sua popolarità è medio-grande solo negli ambienti più qualificati, quelli che seguono la politica". Per Nicola Piepoli (Istituto Piepoli) "il livello di popolarità è alto, l’uomo è affascinante, è una bella testa e un galantuomo ma gli consiglierò di stare più calmo e riflettere". Per Roberto Weber, presidente dell’istituto Ixé, invece, "la notorietà è molto elevata, ma il grado di fiducia dell’elettorato non è altissimo. Modesto come quasi tutti i leader politici tranne i “fantastici 4“ stabilmente in testa a tutti gli indici di fiducia: Draghi, Meloni, Conte e Speranza".

Passiamo, allora, a quanto si porterebbe via un partito di Di Maio con una scissione nei 5Stelle. Qui il giudizio è impietoso: poco o pochissimo. Per Piepoli "uniti, i 5Stelle restano un partito, divisi diventano tanti pezzettini e ne resta poco". Per Mannheimer "una scissione avrebbe numeri infinitesimali, ancora più bassi degli attuali, non oltre il 3-4%. L’M5s crollerà, alle prossime politiche". Per Weber "è la scissione in sé il danno maggiore, per i 5Stelle, non i numeri che si porta dietro, di certo bassi. Conta poco il numero di seguaci, conta il fatto che un movimento nato come coeso si sta consumando in una continua erosione".

Per Antonio Noto "il problema è quale identità avrà l’M5s senza di Di Maio e questi senza i 5Stelle. Gli elettori non sono telespettatori, non passano da un canale all’altro. Molti italiani sono contrari all’invio di altre armi all’Ucraina, ma non è che, poi, votano per il M5s. Servono identità e visione, per costruire un partito: oggi ai 5Stelle mancano. In ogni caso, il consenso è variabile ed emotivo per ogni partito".

Infine, la domanda su quanto varrebbe un partito di Di Maio porta risposte lapidarie o prudenziali, cioè ai due estremi. Per Mannheimer "Di Maio può andare al centro o altrove, ma si porta dietro poco o nulla. Invece, un partito sovranista ed estremista trova spazio ma oltre il M5s, in caduta libera". Per Piepoli "l’area di centro vale il 10-20%, ma l’apporto di Di Maio, che comunque vi si unirà, perché la sua è una logica consortile, è scarso". Secondo Weber, "l’area di centro può valere tanto, tra il 10 e il 20%. Anche uno all’epoca disprezzato come Monti arrivò al 10%. Il problema è che manca il "Federatore". Di Maio non lo è, ma neppure gli altri. Di certo, il filo-atlantismo c’è chi lo interpreta meglio di lui".

Chiude Noto: "Il 60% degli italiani non si dichiara di nessuna area politica (destra, centro o sinistra) e può votare qualsiasi partito. Il centro è uno “scatolone“ che può valere il 15-20% di elettori pronti a votarlo, ma il problema è sempre lo stesso: che cosa c’è lì dentro? Servono identità, visione e progetto. Un partito personale non porta molti consensi, specie senza i voti di preferenza". Vedremo se Di Maio saprà metterci del suo.