
L’uomo voleva scappare in Venezuela: bloccato all’aeroporto. I tre condividevano l’appartamento. In passato avevano già avuto liti. L’ipotesi degli investigatori: massacrati perché gli avevano dato lo sfratto.
e Nicholas Masetti
Sul citofono, sopra i nomi di Luca Gombi e Luca Monaldi, a pennarello Genaro Maffia aveva aggiunto il suo. E quando ieri mattina i poliziotti sono arrivati in quell’appartamento all’ultimo piano di piazza dell’Unità, in mezzo a quel massacro di carne e sangue, quel nome è suonato come un’assenza troppo pesante. Maffia era già lontano chilometri da Bologna. In volo, con un biglietto comprato all’ultimo momento, direzione Barcellona. Pensava di avercela fatta. Ma appena atterrato a El Prat è stato fermato dalla polizia. L’accusa, aver ucciso i suoi coinquilini. Con una ferocia indicibile.
I corpi delle vittime sono stati trovati nel soggiorno dell’appartamento. Straziati. Luca Gombi, 50 anni appena compiuti, sventrato. Il compagno Luca Monaldi, 54 anni di Arezzo, sgozzato. Il loro sangue era ovunque. Una macelleria. A chiamare la polizia erano stati i vicini, che avevano sentito provenire dall’appartamento della coppia, che si era unita civlmente due anni fa, urla e richieste di aiuto. Una volta dentro, la scoperta agghiacciante. E subito le indagini si sono concentate su Maffia. Quarantotto anni, nato a Caracas da una famiglia campana, Maffia da tre anni si era trasferito in Italia e da agosto viveva a casa della coppia, con un regolare contratto di affitto. La convivenza, però, non era stata sempre semplice, anzi. A novembre in quell’appartamento nel cuore della Bolognina erano dovuti intervenire anche i carabinieri, perché Maffia, che era stato via qualche giorno, al suo ritorno aveva trovato la serratura cambiata. I padroni di casa, ascoltati dai militari, avevano parlato di una lite con l’uomo. Che però, avevano detto, non li aveva mai minacciati. Tuttavia il rapporto pareva essersi deteriorato.
E la scorsa settimana, di nuovo, c’erano stati problemi. Gombi e Monaldi avevano deciso di venedere le case che avevano e andare a vivere in campagna. Per questo avevano dato lo sfratto ai loro inquilini, compreso Maffia. Che era preoccupato, come raccontato anche dal cugino, Giovanni Sacco. L’uomo, ieri mattina, appreso del duplice omicidio di piazza dell’Unità, quando ancora non erano noti i nomi delle vittime, si è precipitato sotto al palazzo. E appena scoperto che le vittime della mattanza erano Gombi e Monaldi, si è messo le mani nei capelli. "Allora è stato lui?", si è lasciato scappare, in preda all’angoscia. Sacco sapeva dell’ansia del cugino. Lo sapeva perché proprio le vittime gli avevano chiesto di tranqullizzare Maffia. Così, venerdì scorso, era passato a far visita al parente. "Genaro mi ha detto che si sentiva minacciato, che aveva paura che lo uccidessero", ha raccontato Sacco, aggiungendo però di non sapere di chi avesse paura il cugino. "Gombi e Monaldi mi hanno chiesto di passare – dice – perché erano preoccupati per lo stato di mio cugino. Loro stavano vendendo la casa e lui doveva trovarsi un’altra sistemazione. Gli ho detto che era un’opportunità, anche per ricongiungersi con la famiglia, per far venire moglie e figli dal Venezuela qui in Italia. Gli avrebbero dato anche una buonuscita. Ma era preoccupato".
E adesso questa preoccupazione è diventata uno dei possibili moventi di questo orribile delitto, su cui sta lavorando la Squadra mobile, coordinata dal pm Tommaso Pierini. I poliziotti della Scientifica hanno analizzato per ore la scena della mattanza, repertando anche diversi coltelli che dovranno essere analizzati. Non è escluso neppure che l’indagato possa aver agito in stato di alterazione. Tutti punti su cui dovranno fare chiarezza le indagini, in attesa che Maffia racconti la sua verità.