Mercoledì 24 Aprile 2024

Spese e misure sulle orme di Draghi

Raffaele

Marmo

La prima manovra dell’era Meloni è di fatto l’ultima manovra dell’era Draghi. La si può raccontare con il criterio della propaganda o si può scegliere (come è giusto fare) quello della sostanza. Ma se si utilizza quest’ultimo e si guarda alle grandi cifre e alla natura delle misure, si scopre che sotto il velo dei proclami c’è una legge di Bilancio, firmata Giorgia Meloni e Giancarlo Giorgetti, in stretta continuità con gli interventi di Mario Draghi e Daniele Franco. Il che non è un caso fortuito o un accidente della storia: l’attuale ministro dell’Economia è stato il più draghiano dei leghisti, la premier è stata la più prudente dei leader del centro-destra sul fronte dei conti pubblici fin dalla campagna elettorale.

La parte del leone la fa il pacchetto destinato a fronteggiare il caro-energia con una dote di 21-22 miliardi, i 23 del totale. Le relative misure, pur con qualche aggiustamento, sono quelle dei decreti Aiuti del precedente governo. La fonte di finanziamento deriva dall’allargamento degli spazi di deficit per il 2023 di fatto concordati con l’Europa. È la cosiddetta "regola Giorgetti" che, per l’altro terzo del provvedimento significa che ogni intervento deve trovare la sua copertura in tagli o riduzioni di spesa.

Ma veniamo alle misure extra energia: la stessa limitatezza delle risorse ha frenato gli appetiti, con il risultato che alla fine si tratta di operazioni a margine più che di inizi di una nuova era. Anzi, la principale voce di entrata (dagli extra-profitti) e la principale voce di riduzione di spesa (stop alle rivalutazioni per le pensioni più elevate) sono intrinsecamente draghiane. Come anche il taglio del cuneo. La presunta nuova flat tax non è altro che un innalzamento dell’asticella esistente per le Partite Iva. La stretta sul Reddito di cittadinanza è il minimo sindacale di una inevitabile revisione. Come, per molteplici versi, anche la tregua fiscale. Resta la chicca del tetto del contante più elevato. Poca cosa per parlare di svolta identitaria. Il che, di questi tempi, può essere anche un bene.