Se la fede è cosa nostra

di Beppe Boni

Beppe Boni

Beppe Boni

L’HANNO sempre inseguita, blandita, mutuandone termini e iconografia, nel tentativo di utilizzarla come elemento di appartenenza popolare. I mafiosi e la religione, un rapporto controverso. La Chiesa nella sua massima espressione, vedi la recente scomunica del Papa, rafforza il proprio schierarsi per la legalità, mentre i boss abbracciano la religiosità cercando alimento e legittimazione. Sembra una contraddizione, ma esiste una teologia mafiosa, soprattutto nell’oscuro scenario di Cosa Nostra siciliana e della ’Ndrangheta calabrese. Il vecchio e ora malato Bernardo Provenzano, Binnu u’ tratturi, quando fu catturato in Contrada dei cavalli teneva nel rifugio un quadro dell’Ultima cena, molti rosari, tre bibbie, la foto di Padre Pio e 91 santini con la scritta «Gesù confido in te». I pizzini intercettati finivano sempre con «Vi benedica il signore e vi protegga». La devozione del capo indica una prospettiva tesa a cercare nella religione una motivazione superiore che deve dare forza e stare sopra le pistole, le esecuzioni, le estorsioni. Questi sono dettagli terreni e professionali. Un doppio binario codificato nella storia delle mafie e che avvolge la vita del picciotto dall’inizio ricalcando gli elementi base della religione: il sangue, la devozione, la fede.  

IL RITO di iniziazione, ora meno in voga, prevede la «punciuta», cioè una incisione sul dito della mano «che spara». Col sangue viene imbrattata una immagine sacra, che spesso è l’Annunziata, ritenuta madrina di Cosa nostra, e poi bruciata. Le ’ndrine calabresi utilizzano l’effigie di San Michele, arcangelo guerriero. Gli inizi sono sempre importanti nella simbologia mafiosa, ecco perché nei film vediamo distribuire confetti e pallottole in occasione dei battesimi. I nomi e simboli, appunto. Pensate a Michele Greco, che si faceva chiamare il Papa e al processo rispondeva citando i salmi. I preti antimafia muoiono giustiziati dalle cosche e i boss si rifanno alla Chiesa anche nella violenza recuperando perfino la ferocia dell’Inquisizione. La faccia tagliata, segno di infamia, era la punizione riservata agli eretici. Come il sasso in bocca si rifà alla mordacchia inquisitoriale inflitta ai bestemmiatori. Alla mafia piace «tragediare» e lasciar intendere più che dichiarare. Come nel fatale inchino a don Peppe Mazzagatti nella processione di Oppido.