Roma, 28 maggio 2023 – E alla fine arriva Schlein. Sì, ma quando? La leader del Pd c’è e non c’è. Si vede e non si vede. Parla e non parla. Per i detrattori, l’assenza è un disvalore; per il suo entourage, una sofisticata strategia comunicativa che deve essere compresa e apprezzata (altrimenti sei un boomer). Sicché, ecco Schlein.
La nuova segreteria l’ha illustrata su Instagram, a suo tempo, con una diretta. Conferenze stampa non ne fa o ne fa pochissime (meglio, dai; sono fatte per fregare i giornalisti). Come quella al rientro dalle vacanze, ad aprile, che ebbe il termovalorizzatore di Roma tra i protagonisti: "È una scelta che era già stata presa dall’amministrazione di Roma. Questo è successo ben prima che si insediasse questa segreteria. Non era oggetto del nostro programma per le primarie", disse.

Inutile porle una domanda giornalistica su whatsapp; la risposta arriva, casomai, dal numero del portavoce Flavio Alivernini, che un tempo lavorava con Laura Boldrini, oppure non arriva. Comunque: come Godot, prima o poi, arriverà, Elly Schlein. Noialtri attendiamo, novelli Vladimiro ed Estragone.
Anche qualcuno dei suoi attende, a dire il vero. La segretaria del Pd, infatti, non si fida troppo neanche di chi l’ha sostenuta. Ha un suo cerchio magico, e gli altri fuori. Non è difficile riconoscerli, hanno alcune caratteristiche tipiche: hanno ottenuto un ruolo di responsabilità e fino a poche settimane fa non erano neanche iscritti al Pd. Come Igor Taruffi, oggi responsabile organizzazione (ruolo importantissimo, praticamente un numero due del segretario), dalla Sinistra Italiana con furore; Gaspare Righi, capo della segreteria; Marta Bonafoni, coordinatrice della segreteria, consigliera regionale del Lazio, anche lei da poco nel Pd.
A farne le spese sono stati dirigenti giovani ma solidi, come Peppe Provenzano, che anziché essere scelto per fare il capogruppo alla Camera, il coordinatore o il responsabile organizzazione, è stato messo agli Esteri ed è isolato dal resto del gruppo. Gli schleiniani di origine protetta e controllata temono che oscuri la cara leader. Anche lui, come Chiara Gribaudo, scelta come vicepresidente del Pd, ruolo di non primo piano diciamo, attende. E anche qui, se la tattica non si palesa è perché si è, inevitabilmente, boomer.
Intendiamoci, di qualcuno della vecchia guardia Schlein si fida: "In Parlamento, ma anche in Rai, il vero motore dell’ellysmo è Francesco Boccia", ha scritto Simone Canettieri sul Foglio: "Lei si fida e delega. Nei momenti di eclissi schleiniana bisogna cercare lui: gestisce, dice la penultima – e a volte anche l’ultima – parola, è trasversale". Quindi, Schlein? C’è e non c’è. C’è, la trovate sui territori, ribattono i suoi. Per i ballottaggi ha scelto di chiudere ad Ancona, dove c’è ancora una speranza di vittoria contro il destra-centro (Daniele Silvetti, candidato di Fratelli d’Italia e soci, ha chiuso il primo turno in vantaggio, al 45,1 per cento; Ida Simonella, candidata del Pd e dintorni, ha preso il 41,3). Ed è andata sì in Toscana, ma al secondo turno ha evitato accuratamente Pisa, dove il distacco fra il sindaco uscente Michele Conti e il cattoschleiniano Paolo Martinelli è di nove punti e dove, in caso di sconfitta al ballottaggio, si potrebbe parlare di riconquista clamorosamente fallita. Una sconfitta mitologicamente simbolica per una città ex progressista che da anni vota a destra nelle periferie popolari e non solo.
È proprio a Pisa, dove la Lega nel 2018 prese il 25 per cento, che è mancata la ricomposizione del popolo della sinistra, ha osservato Salvatore Vassallo in un’analisi dell’Istituto Cattaneo: al primo turno una quota non marginale di elettori che alle elezioni politiche avevano votato per la coalizione formata da Pd, Sinistra e + Europa a queste amministrative ha sostenuto il sindaco uscente Michele Conti. Si tratta dell’8,5 per cento. Magari Schlein ne parlerà nella prossima diretta Instagram.