Venerdì 26 Aprile 2024

Rudy e il delitto Meredith "Dovevo fare di più per lei"

L’unico condannato per la morte della studentessa inglese presenta il suo libro "Non ho fatto il possibile per salvarla, è la mia colpa. Io mi sono perdonato"

Migration

di Annalisa Angelici

"La mia coscienza è libera. Non c’è giorno che non pensi a Meredith. Mi porterò dentro per sempre il peso di non aver fatto il possibile per soccorrerla. Questa è la mia colpa, ma io mi sono perdonato". Rudy Guede oggi ha trentasei anni, più di un terzo dei quali trascorsi in carcere. È l’unico condannato per la morte di Meredith Kercher, la studentessa inglese uccisa a Perugia nella notte tra il primo e il 2 novembre 2007. E ora, a quindici anni da quell’omicidio che sconvolse Perugia, da uomo libero, racconta la sua verità nel libro scritto a quattro mani con il giornalista Pierluigi Vito, dal titolo “Il beneficio del dubbio. La mia storia“ (Augh! Edizioni) . Perché Rudy Guede è convinto che a lui il beneficio del dubbio non sia stato concesso, che da subito sia stato indicato come il “colpevole“ e che sia stato condannato (a trent’anni in primo grado, ridotti a sedici in appello) da innocente. Lo ha detto anche ieri, a Bastia Umbra, dove ha presentato il libro alla fiera “Fa’ la cosa giusta“.

"Ho sentito l’esigenza di parlare di me e di far parlare di me le persone che mi conoscono – sottolinea Guede –. Mi racconto, con i miei pregi e i miei difetti: chi ero e chi sono diventato. Mi sono trovato in una vicenda giudiziaria più grande di me, sono stato descritto per quello che non ero, senza che nessuno verificasse ciò che si diceva". Quando fa riferimento alla cella dove ha trascorso tredici anni, Guede parla di “stanza“. Quella dove un giorno, rientrato dopo la “socialità“, ha trovato il suo compagno impiccato: "Io non ero solo in carcere, ero protetto dal calore della mia famiglia, una fortuna che non tutti hanno". "Lì c’era il mio corpo la mia anima era fuori", dice ancora Guede riferendosi a quella “stanza“ dove ha studiato, fino a laurearsi in Scienze storiche all’Università di Roma Tre. "Adesso – racconta – sono una persona che ahimè è maturata tra le mura carcerarie. Avrei voluto crescere diversamente, ma per quanto dolore mi abbia lasciato dentro mi ha dato la forza di andare avanti e di lottare, di mettermi a disposizione degli altri". Quegli altri, i volontari del carcere, che a lui hanno teso la mano e che "non smetterò mai di ringraziare, come la mia famiglia. Perché Ivana, Daniele, Gabriele e Lucia sono la mia famiglia".