
La madre e il padre di Chiara non credono ad Alberto "Non ci ha mai detto che non era stato lui".
di Anna Vagli
"Non ci ha mai detto che non era stato lui". È una delle frasi che i genitori di Chiara Poggi hanno affidato a Selvaggia Lucarelli, ed è probabilmente la chiave più inquietante di questa storia, più di tutte le sentenze o delle perizie che si sono succedute in diciotto anni. Perché dice in modo nudo ciò che è rimasto sospeso da allora: Alberto Stasi, che li accompagnava al cimitero, che si fermava accanto a loro sulla tomba di Chiara non ha mai sentito il bisogno di dire "non sono stato io".
Questo scarto tra ciò che i Poggi istintivamente si aspettavano, una frase che li liberasse almeno dal sospetto devastante di avere accanto chi aveva ucciso la loro figlia, e il silenzio freddo di Stasi è il punto di rottura. Non si tratta soltanto della paura di contraddirsi o di finire sotto domande scomode. Non dire "non sono stato io" significava non riconoscere nemmeno la legittimità di quel sospetto, non incrinare il ruolo del fidanzato distrutto che gli aveva garantito fin dall’inizio comprensione, rispetto, persino una sorta di protezione. Parlare lo avrebbe costretto a mettersi in gioco, a correre il rischio di scivolare su dettagli, di lasciare trapelare incrinature, di affrontare domande a cui magari non era preparato.
Così ha potuto restare vicino ai Poggi senza mai scoprirsi davvero, continuando a occupare quel posto di rispetto e pietà che, almeno all’inizio, lo ha salvato da qualsiasi pressione.
Intanto, i primi risultati dell’incidente probatorio svuotano di fatto la scena scientifica. I fogli di acetato non hanno restituito un solo profilo genetico utile: DNA troppo scarso o degradato per qualunque confronto.
L’impronta 10, quella trovata vicino alla porta d’ingresso non è attribuibile. L’impronta 33, che per la Procura appartiene a Sempio, non esiste più, cancellata con l’intonaco che la conteneva. Resta solo ciò che si sapeva dall’inizio: il DNA di Stasi e di Chiara nella spazzatura e sugli oggetti di quella casa.
Un fatto scontato per due fidanzati, ma che, in assenza di altre presenze biologiche, diventa l’unico riferimento solido, quasi un diario di bordo involontario dell’assassino. Il paradosso più spietato è tutto qui. Perché un laboratorio può anche arrendersi a un campione che non c’è, ma un genitore che guarda negli occhi chi potrebbe avergli ucciso la figlia e non riceve neppure una parola che lo sollevi dal sospetto, quello non lo dimentica. E oggi, anche il nulla lasciato dalle tracce riporta tutto lì, a quell’unica presenza rimasta al centro: Stasi e un silenzio che dice più di qualsiasi confessione.