Giovedì 9 Maggio 2024
VALERIO BARONCINI
Cronaca

"Mio babbo Marco Biagi, un uomo perbene. Ci diceva: a 70 anni lascio e mi dedico a voi"

Il figlio Lorenzo ricorda il giuslavorista ucciso dalle Br: ieri sarebbe stato il suo compleanno. "Lo Stato poteva evitare la sua morte"

Uno scatto familiare di Marco Biagi con il figlio Lorenzo

Uno scatto familiare di Marco Biagi con il figlio Lorenzo

C’è un bimbo sull’erba, felice, con un pallone rosso Super Tele tenuto saldo come le cose più importanti, tesori, simboli. Accanto a lui il babbo, chinato. Pronto per un sorriso. Il momento felice, cristallizzato per sempre in una fotografia che ora rimbalza sui social network, è stato spezzato 18 anni fa dalle nuove Brigate Rosse. Marco Biagi, il giuslavorista ucciso a Bologna il 19 marzo del 2002, in quella foto aveva circa cinquant’anni. Ieri ne avrebbe compiuti settanta e Lorenzo Biagi, il suo "topino", come il padre lo chiamava, ne tiene viva la memoria. Su Facebook, ad esempio, con la pagina 'Mio babbo Marco Biagi'.

Perché, Lorenzo?

"Per ricordarsi che Marco Biagi era semplicemente e prima di tutto un babbo come gli altri. Il mio babbo. A prescindere dalla sua fama in Italia e nel mondo".

Che giorno è stato, questo compleanno?

"Particolare. È normale che sia stato un po’ triste. Ma d’altro canto è stato comunque bello: mi stanno arrivando tantissimi messaggi, non solo su Facebook. Attestati di stima, messaggi di ricordo".

Cosa avrebbe fatto, se suo padre fosse stato qui?

"Posso dire cosa ho fatto ora che non c’è: sono appena stato in chiesa a San Martino, nel centro di Bologna, per accendere una candela. Ne accendo spesso una per lui, a maggior ragione oggi".

E suo padre come avrebbe festeggiato questo traguardo?

"Ci pensavo, al risveglio. Mi è venuta in mente una cosa. Mio babbo diceva sempre a me e mio fratello, davanti a mamma Marina, che avrebbe lavorato sempre fino a 70 anni. Avrebbe voluto insegnare e collaborare col governo fino alla fine, ma poi, a quest’età, sarebbe venuto il momento di godersi la famiglia. Noi figli e i nipoti. Lo diceva sempre. Gli scappava da ridere e un po’ scappa pure a me...".

Perché? Non gli piacevano i compleanni?

"Diciamo che gli piacevano... quando riuscivamo a festeggiarli. Era sempre impegnatissimo, ma faceva di tutto per esserci almeno a pranzo. Noi gli compravamo una torta, lui soffiava sulle candeline e poi scappava, ma ci prometteva di tornare. E alla sera era di nuovo a casa. Accadeva così anche il giorno di Natale, per scartare i regali. Il vero regalo, per lui oggi, è che tanti lo ricordano ancora, è una cosa non scontata. Mi riempie il cuore sapere che era apprezzato come persona, prima che come giuslavorista. Era un padre di famiglia, un uomo perbene".

Ma la sua eredità è viva ancora oggi. Il suo 'Libro bianco' è stato visionario.

"Beh, fu il primo a parlare di un passaggio dallo statuto dei lavoratori a quello dei lavori. Era avanti di vent’anni".

In Emilia-Romagna sono giunte a vari amministratori lettere firmate dalle Nuove Br, forse opera di uno squilibrato...

"Ma comunque sintomo di un clima. Mi auguro vengano da una persona e non da un nucleo di terroristi, ma resta il fatto che il clima non è dei migliori. La pandemia viene usata per cavalcare un’ondata d’odio. E non è un segreto che a Bologna il mondo antagonista sia sempre attivo e abbia avuto legami con il nuovo brigatismo. Oggi si respira lo stesso clima di diciotto anni fa, dobbiamo stare attenti ed essere vigili".

Le inchieste sulla mancata scorta a suo padre (l’ex ministro Claudio Scajola e l’ex capo della polizia Gianni De Gennaro erano stati indagati per omicidio colposo, ndr) sono finite con la prescrizione.

"La cosa che mi fa più rabbia è il fatto che la tragedia si poteva evitare. Non lo dico solo perché vorrei avere qui mio babbo, lo dico perché sarebbe stato dovere dello Stato. Si poteva, anzi si doveva evitare: sarebbe bastata una scorta, l’hanno ammesso gli stessi brigatisti".

Se oggi fosse con lei, cosa le direbbe suo papà sulle sue passioni, sulla sua vita?

Ride: "Beh, che starebbe soffrendo da matti per il Bologna. Io, lui e mio fratello Francesco andavamo sempre allo stadio. Mio padre era uno sportivo vero. Bici, tennis, calcio: mi avrebbe anche sgridato, perché io, invece, sono un po’ pigro".