
Manuel Bortuzzo, 19 anni, nella copertina del suo libro 'Rinascere'
Roma, 4 novembre 2019 - La rabbia dopo l’orgoglio. Il dolore dopo la reazione. Perché chi si ferma è perduto, ma i sentimenti profondi vanno lasciati fluttuare. Manuel Bortuzzo, il 19enne nuotatore rimasto paralizzato alle gambe dopo l’agguato del 2 febbraio scorso a Roma per uno scambio di persona, esce dallo stile misurato – quasi inumano – del primo periodo di riabilitazione e finalmente si sfoga. Sì, finalmente: "Non posso passare tutto il resto della mia vita in queste condizioni. Non ho nemmeno vent’anni, cazzo", è il sentimento forte che esprime nel libro 'Rinascere. L’anno in cui ho ricominciato a vincere', edito da Rizzoli, in libreria da domani. È un Manuel diverso quello che appare nel serrato volume autobiografico dove, in prima persona, rivela il tremendo sforzo per superare lo choc della pallottola alla schiena e poi della diagnosi. Tra la commossa solidarietà ai familiari di Luca Sacchi (morto il 24 ottobre dopo un agguato simile al suo), il passaggio in tv di ieri sera da Fabio Fazio (con la platea entusiasta) e l’esordio editoriale, Manuel è ormai un personaggio mediatico. Si paragona a un "neonato".
"Sono uscito dall’ospedale dopo appena due settimane di ricovero. Un record, considerando che ero entrato in fin di vita, avevo subito due operazioni tutt’altro che banali e avevo perso l’uso della parte inferiore del corpo. Ma non per me: sono sempre stato abituato a dare il massimo e l’ho fatto anche in questa circostanza – scrive il protagonista –. D’altronde non ne potevo più di stare inchiodato a quel letto, di dipendere da qualcun altro in tutto e per tutto. Volevo riguadagnare il prima possibile la mia autonomia, o quanto meno quella che la mia nuova ‘posizione’ mi avrebbe concesso, e l’unico modo per farlo era cominciare a poggiare le chiappe su una sedia a rotelle e imparare a conviverci".
Il racconto di Manuel procede energico: "Il 18 febbraio sono stato trasferito alla Fondazione Santa Lucia, dove sono rimasto fino al 5 maggio. Tre mesi in cui ho imparato di nuovo a vivere, ma in carrozzina. Già, perché in effetti era proprio come se fossi un neonato incapace di muoversi da solo, privo anche dei minimi requisiti di autosufficienza". Un dramma. "Non solo non riuscivo ad alzarmi, non ero nemmeno in grado di girarmi su un letto matrimoniale: la prima volta che mi hanno chiesto di fare questo esercizio e mi sono ritrovato lì disteso e immobile, con la fisioterapista che mi spronava e mi diceva: ‘Forza, Manuel, prova a metterti su un fianco’, mi sono sentito veramente un uomo a metà. Mi veniva da piangere. Non era solo sconforto, c’era anche tanta rabbia".
Abbattersi? Mai. "E così mi concentravo, mi impegnavo e cercavo con tutto me stesso di incanalare ogni briciolo di forza che avevo nel tentativo di muovere anche solo un muscolo e girarmi su un fianco, maledizione". Maledizione, sì. Perché «il percorso riabilitativo funziona a step", e "i primi giorni l’obiettivo era mettermi a sedere, visto che da quando ero stato operato ero sempre stato solo ed esclusivamente disteso. Sembra una cavolata, ma non lo è affatto: ho dovuto sudare (...). Sono stato prelevato con un aggeggio che si chiama sollevatore e depositato su questa sedia a rotelle dell’anteguerra, pesantissima, enorme, una specie di trattore di 34 chili (...). Ci sono stato un paio d’ore, poi siccome era il giorno del clistere, (...) mi hanno sollevato di nuovo e (...) rimesso a letto. Perché la prassi è questa: il giorno del clistere devi stare a letto, punto e basta".
La volontà però è più forte dei protocolli. "Di pomeriggio sarebbero venuti a trovarmi i miei genitori e Martina, ci tenevo (...) che potessero constatare con i loro occhi i miei progressi. Insomma, ho fatto un gran casino e alla fine (...) mi hanno rimesso a sedere, così quando sono arrivate le visite abbiamo fatto una gran festa. Eravamo tutti super felici, io per primo". La nuova carrozzina è un bell’aiuto: "In confronto è una Ferrari, pesa appena otto chili", certifica Manuel. Abilitato a tutte le sfide, mentre l’Italia lo guarda: sempre più ammirata.