L’ultimo saluto al rider Ira e dolore per Seba "Non si può morire per un algoritmo"

Firenze, il parroco ricorda Sebastian Galassi e attacca: "La sete insaziabile di denaro ha scelto come vettore la velocità. A questo tipo di lavoro non interessa il volto dei dipendenti"

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di Emanuele Baldi

"Questa economia uccide… Si considera l’essere umano come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare". Dall’ambone della piccola pieve di San Martino a Mensola, adagiata dolcemente sulla prima collina nord di Firenze, don Paolo Tarchi è serio, duro e composto mentre snocciola le parole usate da Papa Francesco per certi alienanti nuovi segmenti del lavoro.

Davanti a lui una folla chiusa in un silenzio di granito, zeppo di dignità, perso nel ricordo ancora stordito dal dolore di Sebastian Galassi, il rider fiorentino di 26 anni appena, morto nella notte di sabato in un tragico schianto tra il suo scooter e un suv a Rovezzano, ultimo lembo di periferia est della città. ‘Seba’ stava facendo la sua ultima consegna per conto di Glovo: un paio di piatti caldi in cambio dei soliti spiccioli digitali da mettere da parte per non gravare sul babbo Riccardo, ora in pensione, e pagarsi un corso per diventare graphic designer.

Una morte la sua, secondo il parroco che ha celebrato le esequie, figlia di un mondo dove "la sete insaziabile di denaro ha scelto come vettore insostituibile la velocità". Quella velocità che, continua il parroco, "sul lavoro prende il nome di lavoro a cottimo" e "a cui non interessa il volto della persona e le sue necessità, ma affida a un algoritmo il rispetto insindacabile dei tempi". La morte di Sebastian, ultimo lutto di una lunga sfilza di giovani che hanno perso la vita consegnando piadine, cibi etnici e gelati in ogni angolo d’Italia durante nevrotici viaggi urbani – sotto il sole d’agosto o al gelo dell’inverno – con un occhio alla strada e l’altro all’orologio, ha scosso profondamente la comunità fiorentina. Prima lo sfogo doloroso affidato ai social di amici e semplici cittadini, poi la protesta dei rider nel popolare rione di Sant’Ambrogio e infine l’addio, ieri mattina, in una chiesa gremita di gente ancora attonita dove il grande abbraccio al babbo del ragazzo e al fratello gemello Jonathan, sbriciolato dal dolore, si è risolto in una grande lezione di dignità e compostezza. Nessun moto di rabbia nei confronti di una morte assurda – sbeffeggiata da una grottesca mail automatica di licenziamento e account disattivato da parte di Glovo (che subito si è scusata) nei confronti di Seba per "mancato rispetto di termini e condizioni" – solo la voglia di darsi una carezza collettiva, come fa la gente perbene. E proprio alle persone perbene, a quelle che fanno del sacrificio e della generosità valori fondanti si è rivolto don Paolo sottolineando la grandezza delle cose semplici e al contempo biasimando l’anima sporca delle "persone malvagie".

"In una delle pale da altare di questa chiesa – le parole del parroco – Cosimo Rosselli ha raffigurato San Sebastiano, un giovane del terzo secolo, cristiano, amante della vita e generoso nei confronti degli altri, ucciso dalla prepotenza del potere di allora. Il salmo ci ha ricordato qual è la sorte dei malvagi: ‘Sono come pula che il vento disperde’". L’addio alla bara di legno chiaro di Sebastian è composto e silenzioso mentre le parole di papa Francesco riportate dal parroco restano sospese nell’aria anche se pesanti come macigni: "Si considera l’essere umano come un bene di consumo, che si può usare e poi gettare".