Lui, Biagi, io e quella riforma piena di coraggio

Maurizio

Sacconi *

Il mio ricordo di Roberto Maroni è necessariamente legato ai cinque anni intensamente condivisi nel ministero del Lavoro che egli preferì rinominare “del Welfare”, per significare che non solo aveva competenza nelle politiche previdenzali ma soprattutto che l’inclusione nel mercato del lavoro è necessario contenuto della vita buona.

Con lui rientrai nella vita pubblica come sottosegretario dopo gli anni trascorsi nell’Organizzazione Internazionale del Lavoro. Roberto proveniva invece dal passionale percorso fondativo della Lega Lombarda (esilaranti i racconti delle notti con Bossi a scrivere slogan sui sottopassi autostradali), dalla breve ma significativa esperienza di giovanissimo ministro dell’Interno, dalla dura opposizione parlamentare.

Inaspettatamente, come può accadere nei governi politici, era finito lì dove non voleva. Ma dal primo giorno pensò di lasciare un segno con coraggiose riforme del lavoro e delle pensioni. Fu suo lo “scalone” che avviò, anche se contraddetto dal successivo governo, un sistema più sostenibile. Decidemmo di avvalerci dei consigli di Marco Biagi perché ne stimavamo le idee e producemmo con lui il Libro Bianco sul lavoro che scatenò un clima conflittuale sproporzionato a contenuti che avrebbero poi resistito agli anni. Condividemmo così quella terribile sera del 19 marzo 2002 e il tempo successivo nel quale non smettemmo mai di interrogarci se avremmo potuto fare di più per proteggerlo. Isolammo le ostilità alla riforma attraverso il Patto per l’Italia sottoscritto da 36 su 37 organizzazioni sociali ammesse al tavolo negoziale. Mi piace peraltro ricordare che lasciò in tutti il ricordo della sua simpatia con la quale stemperava ogni tensione. Anche nei successivi incarichi fu così: determinato ma ironico. Perché tutto scorre, ci diceva.

* Ex ministro della Salute,

del Lavoro

e delle Politiche sociali