Mercoledì 24 Aprile 2024

Lucia Lavia: "Si recitava Molière e papà mi spinse sul palco"

La figlia 29enne di Gabriele Lavia e di Monica Guerritore: "Così andai in tournée invece che all’Accademia. Ho il teatro nel Dna, se sono brava lo dirà il lavoro tra qualche anno"

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È stata Santa Teresa d’Avila bambina accanto alla madre Monica Guerritore e ha debuttato a 18 anni col padre, Gabriele Lavia, ne Il malato immaginario. Lucia Lavia è figlia d’arte ma anche, per molti critici, la maggiore promessa del nostro teatro; l’aggettivo ricorrente nelle recensioni degli spettacoli che interpreta è "bravissima". Lei non si monta la testa, non vuole scorciatoie e continua a studiare. Il 18 febbraio compirà 29 anni.

Lucia, lei è nata con il Dna del teatro: ci sono più persone che glielo rinfacciano o che la apprezzano?

"All’inizio molti hanno voluto giudicarmi senza conoscermi. Tutti siamo chiamati a sconfiggere la negatività lavorando e facendo il proprio percorso. Lavoro da anni e ciò parlerà per me".

È vero che suo padre le disse: ’Che cosa vai a fare in Accademia, vieni con me in tournée e imparerai di più’?

"Il senso è quello, infatti mi trovai a recitare ne Il malato immaginario. Stavo preparando i pezzi per l’ingresso all’Accademia d’arte drammatica e avevo scelto la parte di Nina ne Il gabbiano di Cechov. Mio padre stava facendo provini per trovare la sostituta di un’attrice. Gli chiesi: ’Posso farti sentire come sto lavorando sulla figura di Nina?’. Mi disse di passare in teatro".

Le fece provare Cechov?

"No. Aspettai e, nel frattempo, ascoltavo i provini per Angelica. Alla fine mio padre mi chiese: ’Ricordi le battute de Il malato immaginario?’ Sì, risposi. E lui: ’Allora lascia stare Nina, meglio se lavori con me’. Quando finii disse: ’Devo rifletterci e fare una riunione di famiglia’. Così nacque la mia tournée con lui".

Che cosa le ha dato Gabriele?

"La consapevolezza scenica che nessuno avrebbe mai potuto darmi. È un maestro del movimento, insegna la percezione che l’attore deve avere di se stesso sul palco".

E l’insegnamento di Monica?

"È magnifica nell’analisi del testo e delle battute. Mi aiuta a capire i personaggi fino in fondo".

Anche suo fratellastro Lorenzo è uomo di teatro…

"Abbiamo un ottimo rapporto, è bravissimo. Ho lavorato con lui e sua moglie, Arianna Mattioli, tre anni fa in Ti porto con me".

Quali difetti ritiene di avere?

"Quelli dovuti alla mancanza dello studio accademico. Forse mi è mancato l’approccio ludico al mestiere. Ho sempre un modo molto professionale: c’è gente che paga per vederti e devi essere preparata. Ma riuscirò a essere più fluida".

E i pregi?

"Sono molto determinata, costante e precisa".

Le dicono che assomiglia a sua madre?

"Tutti. Ma lei è più bella".

Come vive la femminilità?

"Abbastanza bene, ma avendo una madre icona di bellezza e sensualità sono un passo indietro. Non ho il suo charme".

È fidanzata? Si vede come mamma?

"Non sono fidanzata. Mi piacerebbe avere un giorno una persona con cui condividere la vita e avere dei figli, ma stando spesso in tournée la cosa è difficile. Piuttosto che storie sbagliate preferisco stare sola, ma aspetto chi mi prenderà il cuore".

Esiste il maschilismo in teatro?

"Non parlo delle cose capitate a me. Ma il maschilismo esiste non nel teatro, ma nella società, dove noi donne dobbiamo ancora subire senza renderci conto. Spero che tutto ciò possa cambiare".

Che cosa le piacerebbe interpretare?

"La Elettra di von Hofmannsthal, altro ruolo profondo. Poi vorrei recitare in Un tram che si chiama desiderio di Williams".

E fra i ruoli interpretati quale le è rimasto di più addosso?

"Madame Bovary. Mi piacciono i personaggi che vivono situazioni particolari con una fragilità da esorcizzare".

Appena i teatri riapriranno, riprenderà Guerra e Pace tratto da Tolstoj col Teatro Stabile dell’Umbria. Un lavoro che il lockdown ha fermato…

"Avevamo fatto le prove seguendo tutte le norme anti-Covid e tale era concepita la recitazione: gli attori che invadono la platea e il pubblico nei palchi. Torneremo migliori di prima".

I teatri chiusi fanno tremare le vene dei polsi… Come sente questo periodo?

"Lo spettacolo dal vivo deve vivere, lo dice la parola stessa. Parlo da italiana che ama il suo Paese: i teatri vuoti sono una condizione drammatica".

È spaventata dalla situazione?

"Sono spaventata per le persone in ospedale che non possono essere sostenute dalla persona che amano. Le cose viste in primavera mi hanno scosso".

Come ha vissuto la parte più dura del primo lockdown?

"Ho organizzato la giornata in modo metodico: pulizia, ginnastica, lettura, studio, guardavo molti film. Seguo anche ora le regole".

Ha progetti per quando torneremo liberi?

"Sto preparando la mia prima regia, il monologo di Alberto Moravia Voltati parlami per il teatro Basilica di Roma. Voglio portare in scena la voce di un grande autore poco rappresentato".

In definitiva: come si definisce Lucia Lavia?

"La parola che mi rappresenta è: appassionata".