Venerdì 3 Maggio 2024

Lo schiaffo di Turci, ex governatore Pci: "Pd legato alla finanza. È più a sinistra Conte"

"Vengo dal comunismo emiliano che ha creato uno stato sociale. C’è un bipolarismo fasullo, bisogna recuperare una visione socialista. Meglio orientarsi sui 5 Stelle o l’Unione popolare di de Magistris"

Lanfranco Turci (81 anni), fu anche il capo storico della Lega delle cooperative

Lanfranco Turci (81 anni), fu anche il capo storico della Lega delle cooperative

"Una campagna elettorale, fra gladiatrici, occhi di tigre e “fascisti”, da far cadere le p... sotto i piedi. Tutto spinge, per chi vuole cercare una chance a sinistra, anche se con incerte speranze, a orientarsi verso Unione popolare o Cinque Stelle". A sostenerlo, senza tanti complimenti, non è uno qualsiasi. E la tesi, detta da lui, ha il sapore di un’eresia impronunciabile. Perché "lui" è Lanfranco Turci: un nome che per intere generazioni di "compagni" ha significato il potere vero del Pci emiliano, quello della guida "eterna" della Regione "rossa", e quello, altrettanto ramificato e diffuso, della Lega delle cooperative "rosse". Perché il "nostro", con la tempra e la cultura dei "miglioristi" (quelli che facevano capo, al Bottegone, a Giorgio Napolitano e a Emanuele Macaluso), ha gestito davvero il potere del Partito comunista nella fase di massima espansione, prima di approdare per lunghi anni in Parlamento.

Perché questa scelta per un uomo con la sua storia?

"Perché i grillini e Unione popolare mi sembrano due soluzioni al di fuori del falso bipolarismo che ha dominato lo scenario politico in tutti questi anni e che rimane dominante anche in questa campagna elettorale".

Perché falso bipolarismo? Letta e la Meloni sono uguali?

"Parlo di un falso bipolarismo perché in realtà se andiamo sul piano dell’impostazione delle politiche sociali la differenza tra il polo di destra e quello del Pd non è così significativa. Veniamo da anni di governi se non di unità nazionale formale sicuramente di larghissime maggioranze sostanziali".

Si sente deluso dal Pd?

"Non parlerei di delusione. Si tratta semmai di un distacco che viene da lontano: non è recente o di questa campagna elettorale. Soprattutto dopo la crisi della finanza internazionale ho cercato di approfondire gli effetti e i nodi della globalizzazione e del predominio delle multinazionali e sono arrivato a una valutazione che mi porta molto lontano dalla impostazione dominante anche nel Pd, che risulta impregnato da questa cultura globalista e neoliberista".

Eppure, lei era un pragmatico, aperto al mercato e non certo ostile al capitalismo.

"Certo. Io vengo dalla tipica esperienza del comunismo emiliano degli amministratori, da quei lunghi anni di governo efficiente della cosa pubblica che hanno prodotto uno Stato sociale esteso e che hanno favorito una crescita significativa delle piccole e medie imprese. E se l’Emilia è diventata quella che è diventata nel Dopoguerra un po’ del merito è anche di quelle amministrazioni".

Si diceva: falce, martello e capitalismo dei distretti.

"Noi comunisti avevamo l’idea che si potesse e dovesse governare quel capitalismo e potevamo farlo anche perché avevamo alle spalle un robusto movimento sindacale. Oggi, invece, il sindacato è debole e il Pd è totalmente soggiogato dalla cultura del capitalismo finanziario globalizzato".

La sua, invece, era una tradizione socialdemocratica che nel Pci si traduceva nel riformismo e nel migliorismo di Napolitano e Macaluso.

"Diciamo che quella posizione, che era minoritaria nel Pci, è stata fatta propria poi dalla maggioranza del partito. Ma, nelle fasi successive, c’è stato un momento in cui Massimo D’Alema (ma non solo lui) mi ha scavalcato a destra, diventando più liberale di me. Invidio la serenità di quelli tutti d’un pezzo che sono passati da comunisti a liberali senza neppure rendersene conto. Di loro è il regno dei cieli".

Dal comunismo al liberismo, senza passare dalla via della socialdemocrazia.

"Sì e io mi sono trovato nella originale condizione di essere attaccato come socialdemocratico nel Pci ma quando io sono rimasto tale loro erano diventati liberali".

Come è successo, infatti, che lei è approdato alla sinistra "radicale"?

"Perché, nonostante la crisi del comunismo, mi sono dovuto rendere conto che la globalizzazione non solo non metteva fine alle contraddizioni sociali e alle disuguaglianze, ma ne produceva altre nel mondo e nel nostro Paese. Dunque, ritengo che sia indispensabile recuperare una visione socialista ed è quello che sto cercando di fare".

E intravede questa possibilità nei 5 Stelle e in Unione popolare?

"Le mie opzioni derivano da valutazioni realistiche, non da innamoramenti. Un mese fa, insieme con altri politici e intellettuali, avevamo lanciato un appello ai 5 Stelle perché aprissero un dialogo con le tradizioni meno settarie e sclerotizzate della cultura comunista e socialista italiane. Questo non si è tradotto in un accordo in vista delle elezioni, ma continueremo a sostenere nel futuro il dialogo tra queste due componenti".

Anche lei, come qualche dirigente del Pd, considera, dunque, Giuseppe Conte il leader della sinistra progressista in Italia?

"Non è questo. La mia simpatia per i 5 Stelle non deriva dal fatto che io intravedo in Conte un leader di sinistra con idee chiare che porta una nuova sinistra in Italia. Vedo una dinamica politica. Voglio dire che i grillini possono avere un futuro solo a sinistra in un’area distante e distinta dal bipolarismo fasullo della destra e del Pd".

Un’ultima nota: la sua critica alla globalizzazione e ai suoi effetti non somiglia a quella di Giulio Tremonti?

"L’ho ben conosciuto in Parlamento. Non mi convincevano i suoi improvvisi innamoramenti dall’iper-liberismo al sovranismo, ma certo ci sono spunti di verità nelle sue analisi sui rischi della globalizzazione, spunti che sono anche parte dell’analisi di tanti intellettuali post-keynesiani non mainstream".