Lunedì 29 Aprile 2024

Letta per ora non rompe coi grillini Ma teme l’offensiva del duro Dibba

Il leader del Pd preoccupato: ballottaggi alle porte, il centrodestra potrebbe approfittare del caos

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di Ettore Maria Colombo

"Meglio Conte o Di Maio? Noi siamo ecumenici, come la Chiesa cattolica. Ci alleiamo con tutti…". La battuta circola apertamente nei capannelli dem della Camera dove si è appena votata la risoluzione che impegna il governo in vista del Consiglio Ue a larga maggioranza. La preoccupazione, per la scissione dei 5Stelle, c’è tutta, ma il vero timore è che le elezioni le vinca la destra. La sfida elettorale diretta sarà con Fratelli d’Italia; a prescindere dal sistema elettorale.

Enrico Letta ha dato l’ordine di scuderia di non propendere per nessuno dei contendenti, anche se – a livello di truppe parlamentari – con i dimaiani si fila d’amore e d’accordo e con i contiani meno. Alle porte, domenica, ci sono i ballottaggi, il centrodestra è avanti, il timore è che ne approfitti. Letta, dagli studi di Porta a Porta, lo fa capire: "Spero che tutto questo non vada a vantaggio del centrodestra, perché è già avvantaggiato alle prossime elezioni, così come ai ballottaggi. Dobbiamo rimontare, spero che ognuno giochi la partita più efficace", avverte il segretario del Pd.

È un bene, invece, che entrambi i duellanti considerino centrale il dialogo con il Pd, osservano al Nazareno: "Cercano tutti noi perché siamo centrali per costruire un’alleanza", è la linea. Letta, per evitare il redde rationem, ci ha messo del suo, ma si è dovuto presto arrendere: "Ho parlato con entrambi, ho detto a entrambi che essere uniti è un valore. Hanno ascoltato tutti e due, ma non ho nessun titolo per dare consigli". Eppure, sospira, "noi, come Pd, abbiamo una certa esperienza di scissioni".

In realtà, Letta avrebbe detto a entrambi: "Fate in modo che la divisione non ricada sul governo o saranno guai". E il futuro? "Il Pd pensa al Pd" dice Letta, con orgoglio, da Vespa, è il perno del campo progressista e vuole lanciare "un’idea dell’Italia non partendo dalle alleanze, ma dai programmi". "Su questo sono sereno", dice con una battuta.

Ma tra i dem il timore che il Movimento 5 Stelle possa prendere derive anti-sistema e anti-governative è forte. Si teme l’influsso del direttore del Fatto, Marco Travaglio, su Conte e che l’M5s passi all’appoggio esterno, se non apra direttamente, anche se in ottobre, magari in coincidenza con venti di crisi sociale, una crisi di governo sulla manovra economica. Il numero uno dei dem Letta è preoccupato: "Draghi esce rafforzato dal voto, ma si sente la stanchezza degli italiani per gli effetti della guerra".

Il sostegno al governo, però, è il Rubicone che non si può attraversare: chi fa saltare Draghi, lasciando il Pd magari da solo o quasi a dissanguarsi sostenendo un governo di minoranza (retto da Draghi o altri), ne pagherà ovvie conseguenze. "Se, invece, Conte vuol dar vita alla Cosa rossa e ambientalista con Bersani, LeU e i Verdi bene, lo faccia. Purché non sia un Mélenchon all’italiana, alleato di Di Battista, coprirebbe l’ala sinistra" dicono i dem in Transatlantico, ma se "prevalesse la linea Travaglio-Dibba un M5s che si rimette i gilet gialli con il Pd sarebbe incompatibile".

Invece, tra i riformisti, c’è un certo fastidio per i tanti centri e centrini che si stanno stagliando all’orizzonte: il timore è che i vari poli di Calenda, Renzi, Di Maio-Sala e altri schiaccino il Pd tutto a sinistra, specie se il centro si unisse, elettoralmente.

Ecco perché, con una battuta, il dem Ceccanti dice: "A noi piacciono i partiti alleati di centro che stanno tra l’1% e il 3% dei voti. Loro non fanno quorum, ma portano seggi in più all’alleato maggiore".