
Da Gropello Cairoli a Tromello: risaie, segreti e vicini che osservano. I carabinieri vogliono vederci chiaro. Il racconto dei testimoni.
Le case dei misteri. Luci che si accendono di notte, tonfi mentre nessuno abita i locali da tempo. Non sono spettri, ma i fantasmi dell’inchiesta sull’omicidio di Chiara Poggi, il 13 agosto 2007. Testimonianze vecchie di diciotto anni o fresche di qualche settimana, che aprono dubbi sulle attività dei comprimari di una tragedia senza pace. La prima scena si apre a Gropello Cairoli, il paese a Sud Est di Garlasco. Stesse risaie, stessa periferia agricola, stesse villette a due piani: giardino, veranda, orto. E vicini che vedono tutto. Qui, in via Cesare Sassi, ha abitato fino a poche settimane prima del delitto la nonna materna di Chiara. Vittima di un incidente stradale, Mariuccia Galli a quasi 80 anni si salva, ma le serve la riabilitazione. Per questo, ormai vedova, viene trasferita alla vicina casa di riposo Pio Sassi. La casa resta vuota. Ma all’interno l’elettricità è attiva, l’orto curato da un parente.
Il 21 agosto, in serata, si presenta ai carabinieri di Garlasco Vincenzo Gazzaniga, agricoltore di settant’anni. Domenica 12 agosto, la sera prima dell’omicidio, prende la sua Punto per andare a bagnare i campi. Finito il turno di irrigazione, "all’altezza della villetta della signora Galli, notavo che proveniva della luce dalle stanze al piano superiore. Davanti alla cancellata era posteggiata un’auto. La cosa mi colpiva perché so che la signora Galli è ricoverata in casa di riposo".
Vincenzo nota, ma non si allarma: Chiara sarà uccisa solo la mattina dopo. Si segna, però, l’ora: "A casa sono arrivato alle 22,15. Quindi era pochi minuti prima, perché la villetta della signora Galli è a quattrocento metri dalla mia". Dell’auto non sa "né il colore, né il modello". Un miraggio? No. Perché il racconto lo conferma anche un altro vicino, Pier Luigi Mazzini, 67 anni, pensionato. Anche lui abita in via Sassi. Anche lui quella sera vede un’auto davanti a casa Galli, "parcheggiata di fronte alla mia. Piccola, di colore chiaro, ma non so dire marca o modello". Non ha notato luci: "Le tapparelle erano abbassate". Mazzini vede l’auto alle "21.30 circa, l’11 o il 12 agosto". Ovvero o sabato o domenica. Sa però che "se ne è andata alle 2: non l’ho vista, né ho visto chi era all’interno, ma ho sentito il motore". Quei fantasmi, quindi, li notano almeno in due. Chi andava in quella casa, vuota ma arredata? Chi aveva le chiavi? Se lo chiedono anche i carabinieri. Un vicino le ha da quando l’anziana è ricoverata, non sa dove siano. Un parente le tiene per l’orto. Chiara stessa ci è stata in settimana. Ha raccolto l’uva e l’ha portata alla nonna. Deve tornarci il 14 agosto, ma non potrà più farlo. Di certo quella casa può essere un comodo luogo di ritrovo, discreto e vicino, per chi non vuole dare nell’occhio. Ma il fantasma del 12 agosto non sarà mai trovato.
Il terzo scenario del mistero è nell’altro paese che confina con Garlasco, Tromello. Qui il fantasma ha un nome: è quello di Stefania Cappa. La location è nel vecchio cortile di una cascina del ’400, affacciata sul cavo Bozzoni. Una donna l’avrebbe vista trafelata, dopo il delitto, salire la scala della vecchia casa dei nonni materni, vuota, con un borsone pesante. Avrebbe faticato a infilare la chiave nella toppa. Agitata. Poi, un tonfo sordo. Qualcosa di pesante che cade. In casa o nel fosso. Racconto mai fatto ai carabinieri, ma in una stanza d’ospedale a un conoscente, Gianni Bruscagin. Il presunto supertestimone delle “Iene“ che racconta tutto 18 anni dopo, perché teme "di non essere creduto". La donna che avrebbe visto tutto è morta. E dal canale, dragato, spunta un martello. Poco, per un voluminoso borsone che Stefania non sarebbe riuscita a trasportare.