Seconda ondata Covid mette in crisi l'Europa. "L'Italia resiste, seguiamo le regole"

Gli scienziati: la situazione nel nostro Paese non sarà come in Spagna e Francia. "Qui distanziamento e mascherine rispettati". Solo il 17% delle vittime ha meno di 70 anni, l’età media dei positivi è di 41

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Roma, 21 settembre 2020 - Possibile, ma non probabile. All’Istituto superiore di sanità segnalano che "da 7 settimane l’epidemia è in crescita anche in Italia", con "un lento e progressivo peggioramento". I focolai attivi sono 2.397 e da tra settimane è iniziata a risalire l’età media dei contagiati, che era sulla soglia dei 30 anni e ora si attesta sui 41. I casi ieri sono stati 1.586 in calo dai 1.638 di sabato (ma considerato che mancano i dati dell’Abruzzo, siamo in sostanziale parità). I morti sono 15 a fronte dei 24 del giorno prima. Serve attenzione quindi, ma non siamo di fronte ad una slavina. Francia, Spagna e Gran Bretagna sono lontane. Seppur con molta cautela gli epidemiologi sembrano essere convinti, con diversità di accenti, che sia improbabile che seguiremo l’esempio di Parigi o Madrid.

Coronavirus Italia, il bollettino del 21 settembre

"I numeri di queste settimane – osserva il professor Massimo Ciccozzi del Campus Biomedico di Roma – ci danno una certa serenità. Certo c’è una ripresa, figlia della mobilità avvenuta in estate, delle vacanze, ma i numeri restano relativamente contenuti: non siamo la Francia e la Spagna e non lo siamo non solo per la buona risposta in termini di tamponi e di tracciamenti e dell’esteso lockdown, ma anche per il comportamento della gente: ha rispettato correttamente il distanziamento sociale. E questo è stato ed è decisivo". "Non vanno sottovalutati i rischi con la ripresa delle scuole e la ulteriore liberalizzazione degli spettacoli ma il sistema sta tenendo bene. C’è un aumento blando e controllato dei casi ma non siamo ancora al livello dei nostri vicini. Il lockdown rigoroso ha pagato e così le misure rigorose sulle quarantene" dice il direttore aggiunto dell’Oms, Ranieri Guerra.

"Il rischio di una ripresa – frena il professor Roberto Cauda, infettivologo dell’università Cattolica di Roma – è tuttora reale, ma fare previsioni è difficile. Certo, in questi mesi abbiamo fatto molta esperienza, e abbiamo ora molte più possibilità di difesa. Il sistema ha funzionato bene e un lockdown così rigoroso come il nostro è stato decisivo. Adesso le Regioni devono continuare a fare la loro parte, mi auguro che si usino largamente i test rapidi, ma deve essere chiaro che un ruolo chiave lo hanno i cittadini. Se seguiremo l’esempio della Francia dipende anche da noi".

"Nessuno – osserva da parte sua il direttore scientifico dell’istituto Spallanzani, Giuseppe Ippolito – ha la palla di vetro. L’aumento da alcune settimane c’è ma per ora sembra sotto controllo. Questo però non ci deve fare abbassare la guardia. Il nostro sistema sanitario sta rispondendo bene ma il punto chiave sono i comportamenti individuali".

Su una cosa molti infettivologi sono concordi: la riduzione della mortalità e del numero dei ricoverati in terapia intensiva è figlia del calo dell’età media dei malati. Secondo l’ultima analisi dell’Iss e dell’Istat il 56% delle vittime ha oltre 80 anni e solo il 16% ha meno di 70 anni. Sono malati che muoiono tra i 6 giorni (per chi non èstato in rianimazione) e gli 11 giorni (pazienti in rianimazione) dal ricovero (con una media di 7 giorni). E mediamente muoiono a 12 giorni dall’insorgenza dei sintomi. "La netta riduzione dell’età media dei positivi – osserva Ciccozzi – porta ad un calo della mortalità perché un quarantenne senza altre patologie risponde molto meglio al virus di un ottantenne con tre patologie".

"È soprattutto una questione di età media" concorda Cauda. "Ci sono meno morti perché si è ridotta l’età dei malati – osserva Ippolito – ma anche perchè è cambiata la prontezza con la quale i malati sono assistiti. Il sistema sanitario è meno sotto pressione e ha imparato la lezione di questi mesi".