Kiev riscopre la voglia di vivere Tavolini pieni nonostante le bombe

Nella capitale sono stati riaperti 450 locali. Ma il sindaco invita alla prudenza: "Restate in luoghi sicuri"

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di Salvatore Garzillo

All’angolo della via che conduce alla chiesa di Santa Sofia c’è un muro di cemento forato, è un checkpoint dismesso. Sullo stesso marciapiede ci sono due ammassi di ferro che servivano per bloccare i mezzi russi, accanto i tavolini di un bar alla moda. Dalle grandi vetrine vediamo che è pieno di gente che consuma. Il proprietario ha orientato le casse verso l’esterno, la musica a tutto volume riempie la strada. Restiamo fermi 2 minuti a guardare la surreale convivenza di guerra e pace ma ci risveglia un altro altoparlante, quello che diffonde il suono acuto della sirena antiaereo. Strani giorni a Kiev, la gente rientra in città convinta che il peggio sia passato ma le autorità invitano alla prudenza annunciando il pericolo di nuovi attacchi, soprattutto in risposta all’affondamento della nave Moskva nel mar Nero. E infatti nella notte tra venerdì e sabato un razzo ha colpito una fabbrica di armi nel distretto sud di Kiev, a Darnytskyi, provocando un morto e diversi feriti attualmente in gravi condizioni. "Il nemico è insidioso e spietato, – spiega il sindaco, Vitalii Klycko, che fa un appello ai suoi concittadini –: Non ignorate gli allarmi aerei. E a coloro che stanno facendo ritorno nella capitale, chiedo di evitarlo e restare in un posto piu’ sicuro".

Ma la voglia di ricominciare è più forte della paura e costringe l’amministrazione militare a prendere provvedimenti logistici come la rimozione del 60 per cento dei posti di blocco. Iniziano a esserci troppe auto in giro per continuare con i controlli. Intanto le attività riaprono, si stima che almeno 450 caffetterie abbiano ripreso normalmente. "È una nuova primavera", dice la 30enne Veronika, marketing manager per una start up americana, impegnata in attività di volontariato ben prima dell’inizio dell’invasione del 24 febbraio scorso. "Ero a Maidan durante le proteste del 2014, ho iniziato in quei giorni ad aiutare gli altri, non avrei mai pensato di dover ricominciare con ospedali e militari".

Sediamo all’esterno di un bar nel quartiere Golden Gate, in centro, una base del mondo hipster e artistico della capitale. Ogni 4-5 minuti qualcuno con un Kalashnikov a tracolla passa accanto ai tavolini dove le persone mangiano e bevono godendosi il sole. "In questo momento ci sono tre guerre nel Paese. Una a ovest, silenziosa e lontana; una al centro, dove ci troviamo noi, che sembra per lo più diplomatica; e una a est, in Donbass, dove si muore ogni giorno. Non è la stessa guerra". Veronika ha ragione, il ritiro delle truppe russe dai territori attorno Kiev (vedi Bucha, Irpin e Borodyanka) ha ridato slancio alla popolazione che ora osserva il fronte est con l’apprensione di chi sa cosa sta per accadere e la leggerezza di chi sa che non gli riguarda in prima persona. I cittadini di Kiev devono ancora fare i conti con il razionamento della benzina (al massimo 10 litri alla volta) ma per il resto possono vivere quasi normalmente.

Ieri a Dmytrivka, sulla strada per Bucha, abbiamo assistito al tipico fenomeno di fine conflitto: il turismo di guerra. Decine di persone facevano foto ricordo e selfie sui carri armati russi distrutti in un campo che costeggia la via principale. Dentro c’erano ancora i corpi carbonizzati di alcuni soldati. Nell’erba calpestata da ragazzi e genitori, abbiamo visto un braccio staccato di netto e annerito dal fuoco. Una persona usava il drone per avere un’immagine “unica” per il suo profilo Instagram.

Venti chilometri più avanti l’ingresso di Bucha, con le persone che ritornano dopo il massacro tra le macerie delle proprie case in cerca di qualcosa da salvare. "Abbiamo potuto recuperare solo cipolle, patate e questo vaso blu", ci spiega Irina, a cui i soldati russi hanno svaligiato la casa prima di ridurla a rudere. Cammina lentamente perché è pieno di mine antiuomo e granate inesplose. "La guerra non è finita, non fatevi illusioni".