Mercoledì 24 Aprile 2024

Elezioni Islanda, sfuma il Parlamento a maggioranza femminile

Per poche ore più elette che eletti, poi il riconteggio beffa. La premier perde seggi ma spera in un mandato bis

Migration

di Giovanni Rossi

Più donne che uomini. Al potere per cambiarlo. Ma solo per poche ore... L’Islanda della premier uscente ambientalista Katrin Jakobsdottir ha celebrato uno storico sorpasso: il parlamento di Reykjavik a maggioranza femminile, 32 elette e 31 eletti. Un trionfo trasversale ai partiti in lizza, con 11 deputate in più rispetto a quattro anni fa: ovvero il 52,3% dei parlamentari, meglio della Svezia ferma al 47%. Ma il riconteggio in extremis in una delle sei circoscrizioni dell’isola ha ribaltato la situazione. E tre seggi sono stati riassegnati a degli uomini.La valanga rosa si è fermata a 30, il 47,6%.

Soltanto tre Paesi al mondo hanno più donne che uomini alle Camere: Ruanda, Cuba e Nicaragua, ma nessuno è una democrazia ocidentale. Ecco perché, nonostante la beffa finale, l’Islanda brilla di luce rosa senza bisogno di quote dedicate.

Questa parità di genere scaturisce da un vento egualitario che dal Nord Europa spira impetuoso. Una corrente di rinnovamento che dall’Islanda al Baltico, passando per Finlandia e Danimarca, prova a contagiare tutti i Paesi accrescendo la centralità femminile nella politica nazionale e internazionale. Dove nessuno regala nulla e ogni risultato va conquistato. Prima a saperlo è proprio la premier uscente: vincendo solo 8 seggi, 3 in meno del 2018, dovrà tessere una tela robusta per evitare che l’ex premier Bjarni Benediktsson reclami un nuovo giro di giostra al piano alto. Ne avrebbe diritto non per genere (sconfitto) ma per l’exploit del suo partito – quello dell’Indipendenza – conservatore e accreditato della maggioranza relativa con 16 seggi. Il vero vincitore appare tuttavia il Partito Progressista (centrodestra), passato da 8 a 13 seggi. La corsa al ruolo di primo ministro si annuncia aspra, mentre una grande coalizione risulta probabile. In settimana la soluzione del rompicapo.

Jakobsdottir, 45 anni, prende tempo, ma certamente proverà a far valere i risultati del suo mandato: gli appena 33 morti per Covid, la fine degli scandali finanziari, l’ampliamento della spesa sociale e dei congedi parentali. Paradossalmente, anche se non restasse in carica, non uscirebbe davvero sconfitta. Perché la sua energica leadership, con decisioni politiche e amministrative molto precise, non è più un caso isolato alle latitudini scandinave. Dove dopo la sua prima elezione, nel 2018, altri Paesi hanno voluto donne come leader. Donne preparate, con curricula appropriati, forte passione, voglia di incidere sulla realtà. Una sintesi di immaginazione e pragmatismo in grado di scrivere nuove agende. Anche con scelte controverse.

Esempi eclatanti. Come quello della premier finlandese Sanna Marin, 35 anni, la più giovane primo ministro a livello mondiale. Una storia personale intensa. Una famiglia arcobaleno, con due mamme, dopo il divorzio dei genitori biologici per i problemi di alcolismo del padre. Poi gli studi in scienza dell’amministrazione e la gavetta socialdemocratica prima del grande salto nel 2019. Stesso anno di investitura della collega danese Mette Frederiksen, 43 anni, laureata in scienze sociali, ora alla guida di un’ampia coalizione di centrosinistra caratterizzata da spiccia concretezza. Sino al punto di varare il piano "rifugiati zero" (appena 1.547 le domande d’asilo processate nel 2020) o dichiarare Damasco "zona sicura" per non ricevere altre richieste: trovate discutibili fatte per arginare l’avanzata dei partiti di destra. Ma il Nord Europa è capace di regalare anche storie di segno opposto. Come la premier lituana Ingrida Simonyte, 46 anni, liberal conservatrice affezionata ai temi dei diritti gay al punto da prendere posizione contro l’Ungheria e le leggi anti Lgbtq del conservatore Orbán.