Mercoledì 24 Aprile 2024

Il virus ha ucciso oltre centomila italiani Il tasso di letalità è tra i più alti del mondo

Troppi ritardi nei mesi estivi. Sono mancati investimenti nella sanità e un progetto nazionale sui vaccini per prepararci all’ondata invernale

di Alessandro Farruggia

Centomila morti. Dopo un anno da tregenda abbiamo superato quella che il premier Mario Draghi ieri ha definito "la terribile soglia". Le vittime del virus sono, nel nostro Paese, già comparabili con quelle del terremoto di Messina del 1908, il doppio di quelle di Aids, 34 volte quelle del terremoto dell’Irpinia, 52 volte quelli del Vajont, 325 volte quelle del terremoto l’Aquila e di quello di Amatrice. I 318 morti delle ultime 24 ore portano infatti il totale a 100.103 e non è affatto finita. Secondo le stime da qui all’estate dobbiamo attenderci tra 10 e i 28 mila morti aggiuntivi. Quanti saranno, dipenderà dall’efficacia della campagna vaccinale, sinora modesta, e dalle misure che prenderemo per mitigare la terza ondata in atto e che avrà il suo picco entro fine marzo, con picco delle vittime a inizio aprile. Dipenderà dalle scelte che faremo.

Con dolore, noi siamo tra i Paesi più colpiti e la storia dirà quanto per gli errori compiuti e quanto per caratteristiche della popolazione, del sistema sanitario e del fatto che siamo stati i primi a essere investiti in Europa. In numeri assoluti il nostro Paese è il sesto più colpito dopo Stati Uniti, Brasile, Messico, India e Regno Unito e davanti a Russia, Francia, Germania. Anche i dati dei contagiati – dove siamo ottavi dopo Usa, India, Brasile, Russia, Regno Unito, Francia e Spagna – vanno presi cum grano salis perché conta il numeri di test fatti e la dimensione del Paese.

Tutto questo premesso, quindi, l’indicatore più significativo è piuttosto il tasso di mortalità per 100 mila abitanti. Qui, a parte paesi piccolissimi, quello che ha il tasso più alto (fonte Johns Hopkins University) è la Repubblica Ceca, che veleggia a 204, davanti al Belgio con 191, la Slovenia con 188, la Gran Bretagna con 187, il Montenegro con 171 e poi l’Italia con 165, che è di poco avanti all’Ungheria con 162 e a Portogallo e Stati Uniti con 160. La Spagna, pur colpita duramente, è a 152, la Francia a 132, la Svezia del no lockdown è a 128, la Polonia a 119, l’Austria a 96, la Germania a 87, il Canada a 60, la Danimarca 41, la Finlandia a 13, la Norvegia a 11, il Giappone a 6. Evidentemente chi – assieme ad altri fattori – ha avuto una migliore sanità, specialmente territoriale, e più risorse, ha saputo far di meglio di noi. E ha salvato decine di migliaia di vite. La prima ondata, che ci ha colto del tutto impreparati e ci ha imposto picchi fino a 2mila vittime al giorno, pesa molto in queste statistiche, ma non basta a spiegare.

L’estate, con i suoi bassi numeri, è stata largamente sprecata e tuttora la nostra letalità (rapporto contagiatimorti) è più alta di molti paesi sviluppati. Non sono stati preparati gli elenchi e le priorità delle vaccinazioni. Non sono stati assunti i medici e gli infermieri necessari per la campagna vaccinale e per prepararsi negli ospedali ad una nuova ondata che puntualmente si è verificata da novembre. Non si è investito abbastanza nei trasporti pubblici che avrebbero disinnescato o comunque ridotto il rischio scuola. E non si è investito da subito nella produzione nazionale di vaccini, affidandosi in toto alla negoziazione di Bruxelles con i colossi della farmaceutica con i risultati che abbiamo visto.

Non siamo all’8% della prima ondata, ma oggi la nostra letalità da inizio pandemia è stimata attorno al 3,25%, e non è solo un problema di minor numero di test rispetto a paesi come gli Stati Uniti (369 milioni di test per 332 milioni di abitanti contro i nostri 42 milioni di test per 60 milioni). In Bulgaria il tasso di letalità è del 4,1%, in Ungheria del 3,4%, in Grecia come da noi, in Australia del 3,1%, in Germania e Gran Bretagna del 2,9%, in Brasile del 2,4%, in Spagna del 2,3%, e in Francia al 2,2%, Russia al 2%, la Svezia a 1.9%, gli Stati Uniti e l’Austria all’1,8%.