Mercoledì 1 Maggio 2024

Il villaggio senza futuro si salva con i bitcoin

Canada, Ocean Falls era finito quando la sua cartiera ha chiuso. Ora l’azienda è diventata fabbrica di criptovalute e si torna a fare affari

Nella cittadina canadese, costellata da una foresta pluviale, vivono 30 persone

Nella cittadina canadese, costellata da una foresta pluviale, vivono 30 persone

Pecunia non olet, dicevano i latini. Il denaro non puzza, già, però fa rumore. Per sentirlo bisogna puntare il dito sul mappamondo, direzione Canada. Qui, nella piccola città di Ocean Falls su uno sperduto fiordo, ovunque si sente un fruscio, e non è solo quello della pioggia nella foresta pluviale che circonda il villaggio. No, quel leggero ronzio esce dalla cartiera che in un tempo senza crisi rese Ocean Falls un importante centro industriale. All’interno dello stabilimento ora lavorano, 24 ore su 24, i minatori di bitcoin. Quei minatori sono computer che estraggono i codici della moneta digitale per crearla. Il rumore che accompagna le giornate della trentina di anime che vive qui è quello dei ventilatori che raffreddano i server della blockchain.

Parentesi di spiegazione: la blockchain è una sorta di registro di sicurezza in cui confluiscono catene di dati con tutte le transazioni di criptovalute. Il registro è attivo su numerosi computer che convalidano gli aggiornamenti dei dati per blocchi, da qui la denominazione di blockchain. Chiusa parentesi. Tornando a Ocean Falls, quella che era diventata una città morta, una volta chiusa per sempre la cartiera, oggi potrebbe vivere una nuova rivoluzione industriale legata alle promesse di rivoluzione delle monete immateriali, anche se in realtà queste non potranno creare molto lavoro in quanto i data center richiedono poca manutenzione una volta configurati. Ma le potenzialità di rinascita legate agli investimenti, però, ci sono tutte.

La moneta digitale non è un prodotto fisico e questo risolve il vero problema della cittadina isolata in mezzo al nulla, cioè l’ostacolo logistico del trasporto delle merci. Qui si arriva solo attraverso l’idrovolante, quando non c’è aria di tempesta, o in nave. Tutti i tentativi di riconvertire l’attività locale nella coltivazione di cannabis o in impianti di imbottigliamento sono naufragati in questo mare. Ma con il bitcoin è diverso, non è un bene fisico. Il suo punto debole è piuttosto l’enorme quantità di energia che l’estrazione dei codici richiede. E Ocean Falls, con la diga, di energia idroelettrica ne ha a cascate, quelle del nome appunto. Occorreva solo fare due più due. Kevin Day, un assicuratore quarantottenne figlio di un banchiere, l’ha fatto. Dopo aver a lungo corteggiato la Boralex, società proprietaria della diga, Day ha strappato l’accordo per convertire i megawatt in bitcoin. Della potenza prodotta dalla centrale idroelettrica, solo un quarto è utilizzata per dare luce alle case. E il bitcoin non mangia tutta l’energia, ne resta altra disponibile, chissà, per nuove criptovalute.

Trovati i megawatt, l’uomo-denaro del fiordo ha messo mano all’ex cartiera, ha fatto arrivare un cargo dalla Cina carico di due tonnellate e mezza di materiale informatico, e a luglio 2018 i server sono stati accesi. Da allora, la fabbrica di bitcoin non si è più fermata. Alle spalle, un finanziamento di tre milioni di dollari canadesi che le banche hanno concesso fiutando l’odore dei soldi della startup. Era il 2017 e, proprio in quell’anno, il bitcoin aveva scalato il successo, salendo da un valore inferiore ai 1000 dollari a oltre 20mila. Investimenti che hanno recentemente attirato (ma anche fatto piangere) l’uomo del momento, Elon Musk, padre dI Tesla.