Martedì 30 Aprile 2024

Il rischio che dobbiamo accettare

Sergio

Gioli

Quanto è pericoloso vivere? O meglio: quale percentuale di rischio siamo disposti ad accettare pur di condurre una vita normale, andare a scuola e al lavoro, al cinema, vedere gli amici, andare in vacanza? Sembrano domande oziose ma non è così. Vivere è pericoloso. Mario Andretti, ex pilota di Formula Uno, scrisse nella sua biografia: "Se hai tutto sotto controllo, vuol dire che stai andando troppo piano". Perché avere tutto sotto controllo è impossibile. Ce ne siamo resi conto negli anni duri della pandemia. Si decise allora di chiudere e di buttare via la chiave, senza badare alle conseguenze. Ma le conseguenze ci sono state, eccome: abbiamo inferto, tutti quanti, un colpo tremendo a un’intera generazione di ragazzi, e prima o poi con questa colpa collettiva dovremo fare i conti. Molte misure erano necessarie? Sì. Abbiamo salvato tante vite? Sì. Ne abbiamo rovinate tante altre? Sì.

Adesso torna la pandemia e tornano le domande: mascherine obbligatorie, limitazioni a eventi e concerti, smart working, Dad. E ci si accapiglia e si discute. Salvo che stavolta a interrogarsi è più la comunità dei virologi che l’opinione pubblica. Loro, i medici, sono spaccati in due fazioni: quelli che è meglio lasciar correre il virus tanto nessuno lo ferma e quelli che bisogna arginarlo a ogni costo con nuove limitazioni. È un dibattito quasi esclusivamente italiano. Nel resto del mondo di Covid non si parla perché si è affermata l’idea che sia un virus endemico, cioè inestirpabile. E se è inestirpabile va combattuto negli ospedali, non nei bar. Quindi campagne vaccinali, medici sul territorio e attenzione ai fragili.

Ma tutto questo la gente lo sa già. Il panico di due anni fa è sparito. E allora il messaggio vero da trasmettere è che sì, il pericolo Covid resta alto, ma non può più essere lo Stato a imporre a cittadini-sudditi regole di comportamento. Tocca a ognuno di noi decidere quale percentuale di rischio siamo disposti ad accettare.