Martedì 23 Aprile 2024

Il passo in più che la destra doveva fare

Sandro

Rogari

Le dichiarazioni di Meloni in memoria del rastrellamento e della deportazione degli ebrei romani del 16 ottobre 1943 sono forti e nette. Meloni usa il termine di nazifascismo come responsabile di quella mostruosità, con approccio condiviso con tutto l’antifascismo e con la tradizione storiografica. Sul piano storico è, infatti, un termine ineccepibile. I nazisti infatti ebbero nei fascisti romani dei collaboratori compiacenti che indicarono ai tedeschi la localizzazione degli ebrei da catturare e parteciparono alle retate. Fu la complicità dell’orrore che ha la sua origine nelle leggi razziste varate dal regime fascista cinque anni prima ad imitazione delle leggi di Norimberga della Germania hitleriana. L’espressione, così netta e forte, fa assumere a Meloni una presa di distanza inequivocabile dalla tradizione postfascista. Non si tratta solo, come fa il presidente del Senato La Russa, di limitarsi a ricordare una delle "pagine più buie della nostra storia". È indubbio che lo sia stata.

Ma Meloni va ben oltre quando risale alla responsabilità del regime fascista in connubio col regime nazionalsocialista. Se confrontiamo le due dichiarazioni percepiamo bene lo stacco generazionale. La Russa, che appartiene alla generazione postfascista dell’immediato dopoguerra, ha acquisito la consapevolezza dell’orrore dell’antisemitismo e nelle sue parole circoscrive e condanna il male e i suoi effetti. Meloni, che appartiene alla successiva generazione, rigetta in blocco il mostro dell’antisemitismo risalendo a quelle sue specifiche origini, il nazifascismo. Certo non sono le sole, ma sono quelle che appartengono alla nostra memoria collettiva. È una memoria che i padri costituenti hanno trasfuso nella Costituzione della Repubblica e in particolare nei principi fondamentali che ispirano i primi undici articoli. Vogliamo leggere nelle parole di Meloni la premessa per una condivisione totalitaria e definitiva dei valori antifascisti.