Mercoledì 24 Aprile 2024

Il dilemma: inflazione o recessione

Giorgio

La Malfa

Quando i prezzi corrono troppo, le banche centrali hanno gli strumenti per fermarli. Possono ridurre la domanda agendo sulla quantità di moneta in circolazione o sui tassi d’interesse. Gli aumenti dei tassi scoraggiano gli investimenti e gli acquisti rateali di beni di consumo; basta poco per far aumentare la disoccupazione e questo porta con sé una ulteriore flessione della domanda di beni di consumo. La riduzione della domanda fa rallentare i prezzi e poi li ferma. Dunque la cura è efficace. Ma non è indolore, perché comporta una recessione. Non fa differenza se l’inflazione è dovuta a un eccesso di domanda, come negli Stati Uniti, o a una spinta dei costi, come nel caso dell’Europa alle prese con il problema del prezzo del gas. Il rimedio è lo stesso. Se non si vuole convivere con l’inflazione si provoca la recessione.

Il problema dell’inflazione nasce soprattutto negli Usa dove la Federal Reserve (cioè la banca centrale) ha praticato per troppo tempo una politica espansiva. Ora, nel correre ai ripari sta eccedendo nel senso opposto. Passare in un anno da un tasso d’interesse negativo al 5% è una cura troppo dura. È auspicabile che la Bce proceda con maggiore prudenza, perché negli Stati Uniti i mutamenti di direzione della politica economica possono essere decisi ed eseguiti rapidamente, mentre in Europa stringere è facile, allargare i cordoni della borsa molto complesso. Il governo americano potrebbe decidere in poche ore che la stretta ha funzionato e serve una politica fiscale più favorevole. In Europa, dove non c’è un’autorità federale, un aumento eventuale della spesa richiede lunghe e complesse procedure di consultazione e di decisione. Potremmo rischiare di stringere molto sul piano monetario e non riuscire a compensare questa stretta con un allargamento del bilancio. Questo induce a chiedere cautela alla Bce. Proceda pure, ma "con juicio", come ammoniva Manzoni.