Venerdì 26 Aprile 2024

Il brutto vizio dell’assalto alla diligenza

Raffaele

Marmo

Deve essere un grande esercizio di pazienza quello che sta compiendo Mario Draghi in queste ultime settimane per evitare di mandare dietro la lavagna ministri e leader di partito bizzosi e capricciosi pronti a piantare grane su questo o su quel capitolo della manovra in gestazione.

Il risultato, però, non è dei migliori, anche dal punto di vista dell’estetica politica, neanche per il governo nel suo insieme e, dunque, per lo stesso premier.

Potevamo immaginare, infatti, che la prima legge di Bilancio dell’era Draghi potesse essere sottratta all’antico e stanco rito dell’assalto pre-confezionamento, in attesa di quello successivo e scontato atteso nelle aule parlamentari. Ma, almeno fino a oggi, così non è stato.

Da Matteo Salvini a Giuseppe Conte, per cominciare, è una corsa al rialzo per tenere vive e integre misure rivelatesi largamente fallimentari che sono diventate, nel frattempo, solo bandierine ideologiche di una stagione che la pandemia ha travolto. Ci riferiamo, per capirci, a soluzioni come Quota 100 o come il Reddito di cittadinanza, per non parlare dell’astruso meccanismo del cashback.

Tutti interventi che l’esperienza ha dimostrato essere come minimo bisognosi di revisione profonda o addirittura di cancellazione tout court. E che, al contrario, il capo leghista e quello grillino continuano a difendere e riproporre come fossero l’invenzione del secolo: un tatticismo esasperato e esasperante di un passato che pensavamo chiuso anche grazie all’arrivo dell’ex Presidente della Bce a Palazzo Chigi. Più felpate le mosse del Pd e del suo segretario, ma anch’esse appaiono originate da operazioni politiciste più che dal merito delle misure necessarie al Paese: che senso ha, se non quello di non scontentare l’alleato, difendere l’inefficiente sussidio grillino, quando lo stesso Pd aveva fatto nascere strumenti, come il Rei, che avevano una funzione mirata e non confusa?