I giovani devono poter vivere le nostre città

Gabriele

Cané

Avete fatto caso? In Italia c’è sempre "altro da fare" rispetto a un problema che si sta affrontando. Con il risultato che alla fine non si risolve il problema, e non si fa neppure l’altro. Un classico. Che si ripropone anche per il caso movida e per i giovani che ne sono i principali protagonisti. Soprattutto ora che il coprifuoco si avvia a sparire dalle nostre serate galeotte. Allora andiamo per ordine. Se c’è una legge, questa va rispettata. E le piazze-carnaio delle nostre città sono aperte violazioni del divieto di assembramento. Se le forze dell’ordine non intervengono, o se pochi (!) sono sanzionati, giovani o meno, significa che lo Stato non sta facendo il proprio dovere. Stop.

Detto questo, esiste il problema di una generazione a cui è stata inferta dal virus una ferita profonda: chiudere in casa un ventenne è come intubare la sua vita. Ed è giusto, come ha detto il sindaco di Bologna Merola, che il Recovery si concentri soprattutto su questi milioni di italiani che stanno rialzando la testa. Ma una cosa non esclude l’altra.

Se una legge, anche stupida, esiste e lo Stato la applica, non criminalizza: fa il suo dovere. Sapendo, certo, che in quelle piazze c’è un tesoro, il futuro del Paese. Ma che il loro problema non si risolve con una zuppa alla Merola, nella migliore tradizione italiana: derubricando le illegalità perché c’è stato altro. Anche se l’altro è un killer chiamato Covid.