Martedì 30 Aprile 2024

I cantieri Tav vanno veloce solo in Francia

Raffaele

Marmo

È certamente da celebrare il genio operaio e ingegneristico quando si vede cadere l’ultimo frammento di roccia della canna sud – dal lato francese verso l’Italia – del tunnel di base della Torino-Lione che, a Saint-Martin-la-Porte, congiungeva i 9 chilometri scavati dalla fresa e gli ultimi 1.500 metri realizzati con metodo tradizionale. È accaduto ieri mattina.

Peccato, però, che, dal lato italiano, dovremo attendere ancora qualche anno – si spera non tanti – per riconoscere e trovare soddisfazione per lo stesso risultato. Solo alla fine del 2022 sarà chiusa la negoziazione della gara per la parte che ci riguarda del tunnel di base, il cui il contratto sarà firmato all’inizio del 2023.

Come dire: quando gli altri hanno finito il loro lavoro, noi dobbiamo ancora cominciare. Ma non è una nota polemica. È un assunto rassegnato e dolente.

Perché, in fondo, la Torino-Lione è la metafora di un Paese dalla paralisi infinita. E lo stallo tocca l’Alta Velocità Italia-Francia, come tocca le decine, centinaia di opere e di infrastrutture che restano sulla carta per decenni: dalle linee di trasporto ferroviario e autostradale ai rigassificatori, dagli aeroporti ai porti, agli ospedali, alle scuole, fino alle antenne del 5G e alla fibra ottica.

Siamo il Paese con società d’eccellenza manageriale e tecnica (come nel caso di Rfi e Italferr nel settore ferroviario). Eppure, dobbiamo fare i conti ogni giorno con l’ultimo comitato di lotta (a volte anche violenta come nella Val di Susa) o con l’ultimo funzionario di una Soprintendenza o di un Comune pronto a bloccare ogni metro di binario o di autostrada. Per non parlare del groviglio di leggi e leggine che hanno trasformato il Codice degli appalti in un percorso di sopravvivenza estrema per coraggiosi imprenditori pronti all’estremo sacrificio.

Ma, almeno, con l’esempio francese, sappiamo che un altro mondo è possibile.