Mercoledì 24 Aprile 2024

La gente di Gorino caccia i profughi. "Razzisti? Ci siamo solo difesi"

Barricate contro l’arrivo di 12 ragazze. Il prefetto fa marcia indietro

Le barricate anti-immigrati di Gorino, nel Ferrarese (Ansa)

Le barricate anti-immigrati di Gorino, nel Ferrarese (Ansa)

GORINO (Ferrara), 26 ottobre 2016 - LE BARRICATE dei marinai di Gorino hanno retto l’urto. Il prefetto di Ferrara Michele Tortora ha fatto marcia indietro: i 12 richiedenti asilo – 12 ragazze tra i 20 e i 22 anni – che lunedì sera sarebbero dovuti sbarcare nell’ostello requisito a Gorino sono stati smistati altrove. Queste ragazze sono state smistate altrove perché tutta la comunità è scesa in strada. Le barricate in quella strada che, come una fucilata, lega Ferrara all’ultimo lembo di terra incastonato nel Delta, adesso possono essere rimosse. Ma qualcosa, a terra, è comunque rimasto.   LÌ, dove il dolce del Po si «immescia», come dicono i pescatori, nel salato del mare, miniera delle vongole – tesoro delle genti di Gorino – si stanno mescolando le contraddizioni di una protesta che ha qualcosa di atavico e che si sintetizza nella frase del pescatore Oliviero Trombini: «Si incomincia così, poi ci tolgono tutto». E il tutto è quella cosa che si chiama «identità» e che a Gorino è emersa in modo pittoresco, ruspante ma – dice il mozzo Nick Pezzolati – «efficace». Gorino, poco meno di 500 anime – il 95% degli uomini lavora nella pesca alle vongole, gli altri nel suo indotto – è una sorta di ‘isola’ con le sue leggi non scritte, i suoi riti e quel rumore di fondo che è la tradizione. Perché come dice Mara – figlia, moglie e madre di un pescatore – «qua vogliono cambiare la nostra vita».

Pioveva sulle barricate di Gorino lunedì notte. Barricate issate dopo il tam tam sull’arrivo dei profughi – quasi fosse una minaccia arcaica in arrivo dal mare – che ha innescato la reazione a catena di oltre 500 persone. «Quelli di Gorino – dice Nik Pezzolati –, se serve fanno sul serio. Non ci piacciono i dittatori, quelli insomma che ti vogliono imporre decisioni dall’alto». Per quelli di mare in alto c’è solo il tempo, con le sue leggi e i suoi tormenti. Tra le barricate fatte di casse di vongole e gazebo si fa largo la paura. «Noi uomini siamo sempre fuori in mare – spiega un drappello di pescatori –. Chi difenderà le nostre donne da quella gente che bivacca tutto il giorno? Qua siamo ancora abituati a tenere le chiavi in macchina e la porta aperta». Una comunità isola, quella di Gorino. «Senti la brezza?», chiede Davide Cazzanti, uno di quelli che conosce la Laguna come la sua camera da letto: «Domani ci sarà nebbia». Ieri mattina c’era nebbia, oltre il cartello di Goro. La notte scende in laguna, con la sua coperta di nebbia. Carabinieri e polizia seguono le sorti della trincea di Gorino passo dopo passo.   DAI primi bidoni di latta trascinata in mezzo alla strada fino alla grigliata di comunità di ieri a pranzo dopo quasi un giorno di veglia. Gli occhi dei goresi scrutano. Osservano lo straniero che non arriva dal mare ma da terra. «Alle 4 si è in acqua. Se siamo qui è anche un sacrificio, domani non si pesca». E se non si pesca non si guadagna. Per i bambini è festa. Arrivano in bici e affiancano i grandi come i grandi, in passato, emularono i vecchi pescatori del posto. Gorino è a metà tra uno scorcio di Fellini e un crepuscolo della civiltà. «Il timore non sono quelle 12 creature – dice Oliviero, mentre prende posto per il turno di guardia – ma quello che può venire». Cosa? Cosa c’è laggiù, dopo la Laguna? E dopo l’alba? «Il nulla. Vogliono annullare la nostra identità e se combattere per il nostro territorio è razzismo ci chiamino tutti razzisti».

Sul razzismo la linea di confine è sfumata. «Siamo stati i primi – dice Mara – ad accogliere i reduci della guerra in Bosnia a Gorino. Non siamo contrari a queste 12 ragazze, ma al modo in cui le decisioni vengono calate dall’alto». Una delle ragazze ‘adottate’ è Sanela Nikolic, titolare dell’ostello requisito: «Mi hanno solo detto: signora ha qualche giorno per avvisare la comunità».  E la comunità ha dichiarato guerra a una decisione dello Stato centrale.