Golpe Borghese Una strana notte mezzo secolo fa

Michele

Brambilla

Il Censis ci ha informati ieri che il 43,7 per cento degli italiani è favorevole alla pena di morte, e una cospicua maggioranza è disposta a sacrificare le proprie libertà personali in cambio di benessere economico e sicurezza. È curioso che questi dati arrivino esattamente a cinquant’anni di distanza da un fatto probabilmente rimosso dalla memoria dei più vecchi, e sconosciuto ai più giovani: il tentato golpe Borghese.

La notte fra il 7 e l’8 dicembre 1970 gruppi neofascisti, militari e uomini dei servizi segreti cercarono di occupare i centri nevralgici dello Stato. Erano agli ordini del principe Junio Valerio Borghese, 64 anni, ex comandante della X Flottiglia Mas, fedelissimo del Duce fino all’ultim’ora, quella del cupo tramonto di Salò. Dopo la guerra, nel 1951 era diventato presidente onorario del Msi, che aveva però lasciato nel 1953, considerandolo un partito “troppo moderato”. Nel 1968 aveva fondato il Fronte Nazionale per contrastare quella che riteneva la deriva politica, sociale e morale della molle, detestabile democrazia. Erano anni di grandi tumulti, scontri di piazza, morti feriti e attentati. Il culmine era stata, il 12 dicembre del 1969, la strage di piazza Fontana a Milano.

In questo contesto maturò il tentato golpe Borghese. Il piano prevedeva l’occupazione dei ministeri-chiave, quindi l’immediata messa al bando di comunisti e sindacalisti e l’assassinio del capo della polizia; poi la proclamazione di una Repubblica presidenziale e la formazione di un governo con forte presenza di militari. Ma fallì. Per chissà quale misterioso motivo, fu lo stesso Borghese, nella notte, a dare il contrordine. Dopo di che riparò in Spagna, dove morì quattro anni dopo in circostanze sospette.

Ma il suo tentato golpe resta a ricordarci quanto sia facile, quando un popolo è obnubilato dalla paura, che arrivi qualcuno a sopprimere le libertà offrendo in cambio ordine e sicurezza.