Mercoledì 1 Maggio 2024

Giustizia, Mattarella frena il Csm I 5 Stelle pro-Conte: via dal governo

Il Quirinale blocca il parere sulla prescrizione. La ministra Dadone: "Se resta così usciamo". Poi il dietrofront

Migration

di Antonella Coppari

Mattarella si sottrae al ricatto di quanti lo vorrebbero schiacciato pro o contro un singolo punto della riforma: la prescrizione. Richiede che la riforma vada considerata nel suo insieme. Per questo blocca il Csm che avevaconvocato il suo plenum il 28 luglio per esprimersi solo sull’improcedibilità penale già bocciata dalla sesta commissione presieduta dal consigliere Fulvio Gigliotti (M5S). Il presidente della Repubblica scrive al vicepresidente, David Ermini, chiedendo "di posticipare di qualche giorno la discussione in modo che il consiglio si esprima sul complesso del testo". E d’altra parte, spiega Ermini "la stessa ministra Cartabia ha insistito su questo punto. Ecco perché abbiamo ritenuto opportuno far slittare la pratica". Naturalmente, il Quirinale si augura che, quando il plenum si riunirà, sia stato trovato un accordo politico. Al momento, però, la trattativa stenta a decollare.

Difficile trovare una quadra anche perché il Fatto quotidiano di Marco Travaglio soffia sul fuoco, costringendo i 5S ad alzare l’asticella. E così, il giorno dopo la scelta di Draghi di far autorizzare dal consiglio dei ministri la fiducia sulla riforma, la titolare delle politiche giovanili, Fabiana Dadone, mostra i muscoli: senza un accordo, i cinquestelle potrebbero valutare di uscire dal governo "insieme a Conte". Apriti cielo: a quella decisione – nota più di un collega di governo – lei non si è opposta. E d’altra parte, era stata preceduta, da una telefonata tra il premier e il leader in pectore di M5S, vero ispiratore della prova di forza della Dadone. Un modo per alzare il prezzo, perché nel colloquio con lui, Draghi era stato chiaro: "La riforma è perfettibile, ma non si può stravolgere una riforma frutto di una lunga mediazione e di un accordo approvato da tutti i partiti in cdm", il suo ragionamento. La minaccia dell’uscita dalla maggioranza alimenta la fibrillazione tra i pentastellati – più d’uno dichiara il proprio scontento.

Patuanelli e tanto meno Di Maionon sono su quella linea: "Tifo per una mediazione – dice il titolare degli esteri – Conte la troverà. Non si può giocare sulla stabilità dell’Italia". Pure gli alleati del Pd mordono il freno: il pensiero di restare al governo "soli" con Lega e FI fa rabbrividere Letta & co. "Non è questa la strada. Se si vuole lavorare insieme bene, così si va a sbattere", dicono al Nazareno. Ragion per cui qualche ora dopo la Dadone corregge la rotta: "Minacciare non è nel mio stile. Conte e Draghi troveranno punti di incontro".

Naturalmente, queste tensioni hanno un effetto destabilizzante: ha gioco facile Salvini a girare il dito nella piaga, sottolineando "la profonda irritazione" perché, mentre la Lega "si impegna a sostenere le riforme, i 5stelle minacciano sfracelli sulla giustizia e il Pd tira la corda su nuove tasse e Zan. A Draghi il compito di mettere in riga la sua maggioranza, cominciando dal campo più difficile: la giustizia. E’ la prima vera prova politica per l’ex governatore Bce: tutto fa pensare che continuerà con il bastone e la carota.

Pronto a piccoli aggiustamenti (il compromesso più accreditato è alzare il tetto per i processi d’appello a tre anni e in Cassazione a un anno). Certo, non rasserena i grillini la richiesta di Forza Italia di "allargare il perimetro del decreto di riforma del processo penale", né l’accoglimento da parte del governo di un ordine del giorno al decreto Recovery che lo impegna a studiare modifiche alla legge Severino nel punto che prevede la sospensione degli amministratori locali condannati per abuso d’ufficio.