Lunedì 29 Aprile 2024

Finisce l’era dello smart working La presenza torna obbligatoria, ma in azienda l’aria è cambiata

Scade il diritto alla modalità agile per i lavoratori privati, ma le imprese possono autorizzarla. La prova del nove a settembre: necessari accordi con i sindacati, molti sono già stati raggiunti

di Giulia Prosperetti

Le scadenze dettate dal decreto Riaperture segnano la parola fine al cosiddetto smart working. Il ritorno in presenza sul proprio luogo lavoro da oggi è, infatti, inevitabile per molti dipendenti privati. Per molti ma non per tutti. Se diverse aziende sono pronte a seguire il diktat lanciato da Elon Musk – che in una mail tranchant agli oltre 100mila dipendenti di Tesla e SpaceX ha chiarito che "il lavoro da remoto non è più accettato" e l’alternativa alla presenza per "almeno 40 ore a settimana" è il licenziamento –, altri datori di lavoro hanno colto gli aspetti positivi dello smart working e sono pronti a confermarlo o a contrattare forme di lavoro ibride.

Con l’inizio di agosto decade, per le categorie ancora titolari, il diritto a svolgere la prestazione di lavoro in modalità agile. Tra queste figurano i genitori lavoratori dipendenti del settore privato con almeno un figlio minore di 14 anni e i lavoratori maggiormente esposti a rischio di contagio, in ragione dell’età o della condizione di rischio derivante da immunodepressione, da esiti di patologie oncologiche o dallo svolgimento di terapie salvavita o, comunque, da comorbilità che possano caratterizzare una situazione di maggiore rischiosità accertata dal medico competente.

Cessato il diritto a tale modalità di svolgimento dell’attività lavorativa i dipendenti del settore privato, fino a fine mese, possono continuare a lavorare da remoto solo nel caso in cui venga richiesto o consentito dall’azienda. Fino al prossimo 31 agosto il lavoro agile può, infatti, essere applicato dai datori di lavoro privati a ogni rapporto di lavoro subordinato anche in assenza degli accordi individuali previsti dalla normativa vigente. Con la proroga della "procedura semplificata" per i datori di lavoro privati rimane l’unico obbligo di comunicare, in via telematica, al Ministero del Lavoro e delle politiche sociali i nominativi dei lavoratori e la data di cessazione della prestazione di lavoro in modalità agile.

Sul fronte smart working la vera prova del nove ci sarà settembre quando, dopo due anni di scelte dettate dall’emergenza, le imprese dovranno decidere se inserire stabilmente tale modalità nel proprio modello di organizzazione. In assenza di un’ulteriore proroga del lavoro agile emergenziale – auspicata dai sindacati nel protocollo sottoscritto il 30 giugno al termine di un lungo confronto con il ministero del Lavoro – dal primo settembre tale modalità di lavoro sarà possibile solo previa sottoscrizione di un accordo tra le parti, che dovrà essere siglato nell’atto dell’assunzione o in un momento successivo precedente all’inizio del lavoro agile.

"Fino al 31 agosto la scelta di proseguire lo smart working viene rimessa alle aziende. Cessato lo stato di emergenza per lavorare in smart working – spiega Michel Martone, professore ordinario di diritto del lavoro e relazioni industriali presso la Facoltà di Economia della Sapienza Università di Roma, già viceministro del Lavoro e delle Politiche Sociali del Governo Monti – sarà necessario un accordo tra imprese e lavoratori, altrimenti si torna in presenza. Non si potrà adibire allo smart working un lavoratore che vuole lavorare in presenza e un dipendente non potrà lavorare da remoto senza il benestare del proprio datore di lavoro".

Da diversi studi emerge la volontà di numerose aziende di proseguire con il lavoro agile, il più delle volte, alternato a giornate in ufficio. "Gran parte delle imprese hanno già fatto accordi in tal senso – rileva Martone –. La normativa quadro in Italia è adeguata, si potrebbe fare qualcosa in più in materia di diritto alla disconnessione. Ma l’importante è che la legge non ingessi tutto. È compito della contrattazione collettiva adattare il lavoro agile alle esigenze di ogni singola azienda. E su questo fronte c’è ancora molto da fare".