Mercoledì 24 Aprile 2024

"Educare a vivere e non a vincere I giovani? Il problema sono gli adulti"

Alfredo Trentalange, presidente nazionale degli arbitri, lancia l’allarme violenza nei campi di periferia "Manca un clima di rispetto, serve un salto culturale: un patto tra famiglie, società e allenatori"

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di Pierfrancesco

De Robertis

Ragazzini di dodici anni che si prendono a calci, genitori scatenati, arbitri al pronto soccorso, giovani calciatori aggrediti fuori dallo stadio, campi da gioco che assomigliano alle arene della corrida. E’ un calcio impazzito?

"Siamo preoccupati, il clima non è un bel clima".

Si dice sia sempre stato così.

"Questo è il primo errore. Non ci si deve abituare, non si devono fare discorsi generici dando la colpa alla società in generale, che è cattiva. Occorre invece capire che i compiti educativi fanno parte della responsabilità dei singoli e che tutti gli attori del mondo del calcio devono assumersi questa responsabilità".

Di chi è la colpa principale?

"E’ difficile generalizzare, ma tendo a escludere che sia dei ragazzi. Più che il disagio giovanile, vedo il disagio degli adulti".

Pensa a quanto accade nei campi del settore giovanile?

"Quando vado a vedere qualche partita di ragazzi, spesso assisto a uno scambio di ruoli: i bambini che cercano di rispettare regole, avversari, arbitri e invece i genitori che offendono gli altri giocatori, i direttori di gara. Loro, gli adulti, dovrebbero essere gli educatori e non lo sono, e invece i bambini sono più disciplinati".

I genitori sugli spalti spesso non danno l’esempio.

"Pensano solo ai loro figli e non si rendono conto che in campo ci sono anche altri figli..."

Spesso ci finiscono di mezzo gli arbitri più giovani.

"I genitori o i dirigenti se la prendono con i giovani arbitri che hanno la stessa età dei giocatori. Ma come i loro figli, hanno le stesse ansie, gli stessi sogni e se mi permette anche lo stesso diritto di sbagliare..."

Le società di calcio, specie quelle giovanili, hanno grandi responsabilità.

"Non si può certo generalizzare, perché poi intorno al calcio gira un grande mondo di volontariato e di appassionati. Ma certo, dovrebbero più pensare a educare i ragazzi, a farne delle persone..."

...e invece cercano tutti, genitori compresi, di tirar fuori dei piccoli Zaniolo.

"Denaro, potere, successo rappresentano un fattore di rischio altissimo. Ma è una battaglia culturale, figlia di un deficit culturale, diciamo di cultura sportiva che va combattuta".

Come vince?

"Si vince o si perde insieme. Serve una grande alleanza tra tutti gli attori del mondo del calcio, e non solo. Giocatori, società sportive, arbitri, giornalisti, allenatori, famiglie, tifosi. Noi stiamo ad esempio spingendo per il doppio tesseramento".

In che cosa consiste?

"Un giovane calciatore può essere tesserato per una società e fare insieme anche l’arbitro. O vorremmo che ogni società mettesse a disposizione un tesserato per arbitrare, ovviamente non le partite della sua squadra. Aiuterebbe noi ad avere arbitri che provengono dal mondo del calcio giocato, e le società ad avere tra le loro fila persone che conoscono il regolamento, e tante discussioni o incomprensioni e alla fine fin fine violenza diminuirebbero".

La serie A aiuta?

"Non sempre. Siamo sinceri: le dichiarazioni di certi tecnici, dirigenti, giocatori, le continue proteste a volte non aiutano a fare questo salto culturale. L’arbitro ormai invece che spiegare deve sempre giustificare, e non è la stessa cosa".

Il Var doveva far diminuire le proteste ma invece...

"Il Var serve per i casi di errori evidenti. Le polemiche, ci saranno sempre, ma a un certo punto occorre anche fidarsi".

Nei casi di violenza diffusa, crede che anche l’imbarbarimento del linguaggio dei social abbia una responsabilità?

"Il linguaggio è più aggressivo, senza dubbio, e i nostri ragazzi spesso ne fanno le spese nei campi di periferia. Pensi che da inizio campionato abbiamo avuto dieci giovani arbitri mandati al pronto soccorso".

Come ne uscirete?

"Verranno inasprite le sanzioni, ma anche qui, e riparto da capo, si tratta di intraprendere una battaglia culturale".