Mercoledì 24 Aprile 2024

Draghi nel carcere della vergogna "Le violenze una sconfitta per tutti"

Storica visita del premier e della guardasigilli Cartabia nel penitenziario di Santa Maria Capua Vetere. Applausi dalle famiglie dei detenuti, dalle celle si invoca l’indulto. Il capo del governo: sistema da riformare

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di Nino Femiani

(Caserta)

Non è un semplice sopralluogo, quello di Mario Draghi e della ministra Marta Cartabia. È un gesto che non è esagerato definire storico. Mai prima di oggi un capo di governo era andato a visitare una galera italiana. Il premier e la guardasigilli sanno che quello che è successo nel carcere di Santa Maria Capua Vetere può trasformarsi in una ‘forca caudina’ per le istituzioni repubblicane e la democrazia. "È stata tradita la Costituzione, mai più violenze nelle carceri", dice Cartabia.

Il premier e la ministra arrivano poco dopo le 16, c’è uno sparuto gruppo di familiari dei detenuti che applaude. "Gli agenti dopo 15-20 giorni volevano farci ritirare le denunce, io non l’ho mai fatto. Quel video mi ha turbato, perché ho riconosciuto mio marito", racconta Luisella, che staziona davanti al penitenziario. Intanto, si fanno sentire i lavoratori della Whirlpool di Napoli, ai quali l’azienda ha deciso di applicare la procedura di licenziamento. Strappano un incontro e consegnano la loro disperazione al premier. Dalle grate si alza la nenia di alcuni detenuti: "Fuori, fuori, indulto, indulto". A reclamare una libertà che neppure Draghi può concedere (l’ultimo indulto risale al 2006).

La visita dura due ore. Draghi e Cartabia entrano nei reparti più caldi, nel "Nilo", dove si sono verificati i pestaggi, al "Danubio", l’inferno dell’isolamento, poi si fermano al "Senna", dove ci sono le donne che regalano loro una tovaglia ricamata. "Il sovraffollamento nelle carceri è inaccettabile", dice il capo del governo. "Ci sono quasi tremila detenuti in più rispetto ai posti letto disponibili. Negli istituti campani sono circa 450".

L’ex presidente della Bce evita di finire nelle sabbie mobili del silenzio di Stato e ribadisce: la sopraffazione di uomini in divisa non può esistere in un Paese civile. Annuisce Cartabia: "Violenze e umiliazione sono ingiustificabili, la Costituzione è la nostra pietra angolare e tutela la dignità di tutti. Occorre però procedere subito ad assunzioni nel personale delle carceri. Servono più fondi e formazione permanente". Draghi si muove con abilità lungo un crinale delicato. Da una parte non intende criminalizzare l’intero corpo di Polizia penitenziaria ("In grande maggioranza, rispetta i detenuti"), dall’altro non sorvola sulle violenze scatenate contro chi è chiuso in gabbia senza libertà e con pochi diritti.

Le telecamere interne al carcere hanno mostrato le crude immagini dei pestaggi, l’uso dei manganelli e dei caschi per percuotere i detenuti. E l’inchiesta ha riportato gli inutili tentativi dei responsabili di depistare e nascondere l’accaduto. Draghi non è venuto a mettere pannicelli caldi. "Non siamo qui a celebrare trionfi o successi, ma ad affrontare le conseguenze delle nostre sconfitte", dice il premier agli agenti della Penitenziaria, ai giornalisti e anche a un gruppo di detenuti.

"Venire in questo luogo significa guardare da vicino per iniziare a capire. Quello che abbiamo visto negli scorsi giorni ha scosso nel profondo le coscienze degli italiani. Sono immagini di oltre un anno fa. Le indagini in corso stabiliranno le responsabilità individuali. Ma la responsabilità collettiva è di un sistema che va riformato". Non lascia spazio a opacità di sorta: "La detenzione deve essere recupero, riabilitazione. Gli istituti penitenziari devono essere comunità. E dobbiamo tutelare, in particolare, i diritti dei più giovani e delle detenute madri".