Mercoledì 24 Aprile 2024

Draghi blinda la crisi: voto di fiducia Ma tratta sulla spesa per le armi

Oggi al Senato la conta. Il raggiungimento del 2% del Pil per la Difesa potrebbe slittare di quattro anni

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di Antonella Coppari

La crisi si risolve di colpo. La soluzione è tanto fulminea e prevedibile da doversi chiedere se fosse davvero inevitabile la drammatizzazione di martedì sera e i venti di crisi che ancora ieri mattina erano addensati sulla maggioranza. A risolvere la situazione è un comunicato del ministro della Difesa, Lorenzo Guerini nel pomeriggio: conferma l’intenzione di onorare gli accordi Nato del 2014 portando le spese militari al 2% del Pil, ma non nel 2024 – traducendo cioè letteralmente quell’"entro un decennio" del testo dell’Alleanza atlantica – bensì nel 2028 e "in relazione alla compatibilità finanziaria", come sottolinea la capogruppo Pd al Senato, Simona Malpezzi. Che chiosa: "È sbagliato dire che si sottraggono risorse ai cittadini". Poco dopo arriva il semaforo verde dei 5stelle e di Giuseppe Conte: "Bene così, è un passo verso la gradualità e la compatibilità che avevamo richiesto". Capitolo chiuso.

Anche la disfida degli ordini del giorno sul decreto legge Ucraina, che minacciava addirittura la sopravvivenza del governo, evapora. Le commissioni Esteri e Difesa del Senato non fanno in tempo ad approvare il provvedimento, che arriva in aula senza relatore. Per il Pd, l’odg di Fd’I – accolto dal governo – che rilancia l’impegno all’aumento delle spese militari fino al 2% del Pil (identico a quello votato da tutte le forze alla Camera) resta "vincolante", per dirla con il senatore Marcucci. La collega grillina Paola Taverna è di parere opposto: "L’odg salta". Tant’è: l’esecutivo sceglie di mettere la fiducia rendendo impossibile la presentazione dell’odg in aula. I cinquestelle la voteranno, e non se ne parli più. Per ora. Se ne riparlerà, probabilmente,la settimana prossima con la presentazione del Def. Al governo stanno ancora ragionando se accompagnare al documento un testo che obblighi la maggioranza a sostenere l’incremento delle spese armate o rinviare tutto alla legge di bilancio, fra sei mesi.

La giornata era cominciata sotto ben altro segno, con Conte che, incontrando i senatori 5stelle, sparava a zero: "Il 15% di famiglie e di piccole imprese a febbraio non ha pagato le bollette. Nessuno dice di non rispettare gli impegni presi ma di allungare la curva al 2030". Enrico Letta commentava con un tweet caustico: "Una crisi di governo sbigottirebbe il mondo". Ma la diplomazia del Pd martella sulla gradualità dell’incremento come chiave per uscire dall’impasse. Si fa sentire con la dovuta discrezione anche il capo dello Stato, Mattarella, che consiglia a Conte una posizione meno drastica. Poi la proposta Guerini dissipa le ombre.

Solo che la gradualità non è affatto un’idea spuntata fuori dal nulla. Quando la senatrice Malpezzi ripete che era in campo già da giorni, non esagera. Forse non erano ancora definite le date, è probabile che fossero in ballo sia il 2026 sia il 2028 ma sulla formula non c’erano dubbi. La questione si sarebbe potuta dunque risolvere senza sforzi già martedì nel faccia a faccia fra il premier e il suo predecessore. L’amplificazione drammatica non era ineluttabile, ma è stata voluta da Draghi per diverse ragioni. In parte hanno inciso questioni di carattere. I due si sono poco simpatici, manca il feeling necessario per avviare soluzioni diplomatiche. In parte l’ex presidente Bce, indebolito dalla battaglia persa per il Quirinale, mira a ribadire che almeno nelle questioni essenziali, guerra e Pnrr, le decisioni spettano solo a lui. Infine, ha pesato una considerazione non priva di realismo: se avesse dato l’impressione di cedere all’offensiva, tutte le forze della maggioranza si sarebbero poi sentite in diritto di porre sul tavolo con toni ultimativi richieste e veti.

Un quadro che il premier vuole evitare. Quella di ieri però è stata solo una mano, non l’intera partita. Conte alla guida di un Movimento confuso e senza identità non intende rinunciare alla rappresentanza di quella vasta area del paese pacifista, che non si riconosce nell’atlantismo assoluto del governo. Insomma, non può che essere "partito di lotta e di governo", tirando la corda ma cercando di non romperla mai. Un’acrobazia difficile il cui esito dipenderà in parte dagli eventi sul teatro delle guerre reali: quella armata in Ucraina, quella economica dell’Occidente contro la Russia.