Martedì 30 Aprile 2024

C’era una volta una regina Ed è subito fiaba

Roberto

Pazzi

Elisabetta II regge nel nostro immaginario, da 70 anni, la favola della regalità, che per i nostri bambini comincerà sempre "c’era una volta un re", mai c’era una volta un presidente della repubblica. Ma abbiamo fame di favole anche da adulti, anzi forse più da grandi che da piccini perché in età adulta diventa un miracolo crederci. Il delizioso anacronismo che la monarchia tutela, la successione ereditaria, che la sottrae alla partitocrazia, ha garantito all’Inghilterra una stabilità inossidabile, consentendo a una donna a capo dello Stato di traghettare il suo Paese da Churchill a Liz Truss, quindicesimo premier da lei incaricato. Il mondo intero le riconosce di aver servito al meglio il suo paese, ponendo il dovere di servire lo stato prima di ogni cosa. È la forza delle monarchie quando funzionano, come nei paesi del nord Europa, che non a caso sono le più antiche democrazie del mondo occidentale. E si basa sull’educazione al ruolo di simbolo dell’unità nazionale, sottraendo questa funzione sentimentale e storica al gioco dei partiti che svolgono una funzione ben diversa. Carlo è pronto da 60 anni a questo ruolo. Borges, ricevendo il premio Cervantes dal Re di Spagna, ebbe a dire "sono particolarmente lieto di ricevere questo premio dalle mani di un Re, perché ho sempre pensato che Re e poeti adempiano un destino". Re si nasce per destino non per voto di un’assemblea, come si nasce per destino con la bellezza di Greta Garbo o la genialità di Mozart o di Dante. Sono carismi, questi, doni di una natura cieca nelle sue elargizioni. La bellezza e la genialità sono ingiuste, antidemocratiche, impossibili da meritarsi. Ed è questo che le rende struggenti, per immaginarsi felici, il sentimento della nostra esclusione dal loro cerchio fatato. Non le cose che possiamo avere ci sembrano necessarie. Delle altre abbiamo fame, quelle impossibili da raggiungere.