Lunedì 29 Aprile 2024

Storie minime dalla città perduta. La campagna come mito e poesia

Un'insolita idea di Bologna nelle foto di Miccoli con i testi di Schiavon

'Bologna va in campagna', Paolo Miccoli e Gianluigi Schiavon

'Bologna va in campagna', Paolo Miccoli e Gianluigi Schiavon

Bologna, 14 dicembre 2018 - La città cerca la campagna come un figlio cerca la madre (quella che un giorno abbandonò per gettarsi in pasto al progresso, alla vita adulta, al destino). E si addentra di nuovo in quell’abbraccio di verde e fossi, in quel bacio bambino tra prati e cieli, in sentieri sghembi tra gli orti, le case che vaporano di comignoli e nebbie. Cercando l’unica finestra aperta rimasta: non per trovare risposte, ma ascoltare domande, indovinare – nei volti intagliati di rughe, nei passi di un adolescente – minime storie di vite nascoste, inconsapevoli eroi di paese, teatranti della quotidianità. Tutti fissati in uno scatto, evocati da un verso, dall’intuizione di uno sguardo che crea poesia. Immediata, lunare, a tratti ruvida. Malinconica, perfino. Ma mai consolatoria.

Immagini e storie (favole, piccoli copioni, ritratti scanditi in suoni): sono le centouno foto di Bologna va in campagna (Giraldi Editore), ideale prosecuzione di quell’A Bologna c’era il mare che entrava sottopelle alla città. Questa volta l’obiettivo del fotografo Paolo Miccoli e la penna di Gianluigi Schiavon (giornalista e scrittore, vicedirettore del Resto del Carlino) ci conducono in un viaggio diagonale, acceso dai colori dei luoghi e dei volti con cui la città – per ritrovare il fiotto del proprio sangue – deve prima o poi confrontarsi, riflettersi come in uno specchio onesto. E quindi anche spietato. Per capire che cosa ci si è lasciati alle spalle in nome di un presunto, rapido progresso ("Il treno / passò / indifferente / alle rovine", a Muffa), che cosa non si è saputo salvare dall’invadente fame dei peccatori capitali (“La chiesa prigioniera” di Calderino), o non si sa più vedere con occhio d’uomo ("Dio / guardò / dall’alto / il paesaggio / appena /creato / ed ebbe / voglia / di scendere / sulla Terra", a Lagune). È un viaggio in un reticolo di nomi (Budrio, San Lorenzo in Collina, Qualto, Campeggio, Sasso Marconi,San Martino in Casola, Tizzano...). Diversi grani per un unico pane.

Ecco allora una galleria di esistenze appartate, ovattate epopee da bar: invenzioni più vere del vero, perché la campagna è ancora – ma per quanto? – il palcoscenico di una secolare commedia dell’arte in cui, a differenza della città che l’ha perduta, si muove leggera e arguta l’anima degli uomini: attori e spettatori, insieme, di volta in volta a ruoli mischiati. La diva, l’innamorato, il vecchio ostinato, l’orologiaio, il ribelle... Ma la campagna è cupa, a dispetto dell’oleografia da réclame che la vorrebbe esaltare (in realtà deprimendola). La campagna è lentezza, tempo lungo che spesso si perde in gocciante emorragia (“La panchina” a San Lorenzo in Collina), è nudità di un muro che si scrosta, e mostra sfibrati muscoli di mattoni, nervi di antica malta asciugati dal sole a San Martino in Casola. La campagna ha il suono basso del cuore degli anziani e – allo stesso tempo, segno di contraddizione – lo scatto deciso (e contromano) degli adolescenti, la impercettibile scarica di battiti degli uccelli prigionieri (ben lo sapeva il vecchio Attilio Bertolucci, poeta della luce rurale). Quello spazio così infidamente aperto, dove ancora il sacro accenna da un muoversi alto di cipressi e dove un campanile benedice l’aria e le modeste speranze degli uomini, ci provoca strane aritmie - siamo tutti cittadini inseguiti da un’ombra inquieta di verde, che ci chiama da laggiù, dalla memoria dell’infanzia.

Gli scatti di Miccoli e gli en plein air in versi di Schiavon danno il brivido di capire che forse ormai la campagna si coniuga solo all’imperfetto, come molti amori. E che è un nostro moderno rimorso, il non riuscire più a sentire davvero l’odore della terra appena vangata, la scabro insegnamento delle cortecce in inverno. È troppo tardi per avvertire il suono di quei richiami, lontani come campane al tramonto sui campi? Oppure, in una improvvisa illuminazione, saremo come il “Viandante” di San Pietro Capofiume: "Attraversò / sulle strisce / e sparì / nel verde". O nel mare (di Bologna).