di Cesare De Carlo Dei due paradossi del martirio inflitto all’Ucraina uno riguarda Vladimir Putin, l’altro Joe Biden. Sul presidente russo c’è poco da aggiungere, a quanto traspare da questa infame avventura. E cioè che, comunque vada a finire, anche se dovesse annettersi le regioni orientali come ha già fatto con la Crimea, la Russia ne uscirà a pezzi. E così il suo prestigio e la sua stessa sopravvivenza. Il paradosso del suo rivale, il presidente americano, è meno trasparente. Investe la contestata credibilità della sua leadership combinata con l’annunciata ambizione di ricandidarsi alla presidenza nel 2024. Già la sua leadership. Non è più nemmeno un’apparenza, scrive il Wall Street Journal. È un’illusione. I suoi consiglieri oppongono alle critiche la tesi della leadership from behind, spingere più che guidare. Dal fondo e non dalla testa del problema. Ultimo esempio: nella videochiamata di ieri è sembrato a rimorchio degli alleati europei. E in ritardo rispetto agli eventi. Avrebbe dovuto soccorrere il povero Zelensky prima e non dopo l’invasione. Era da novembre che il cattivo del Cremlino ammassava truppe e mezzi ai confini settentrionali e orientali dell’Ucraina. Ora è certamente vero che istruttori americani erano in Ucraina da almeno sei anni. E che il loro addestramento si è fatto sentire nelle battaglie contro forze nettamente superiori. Ma è altrettanto vero che le armi, i missili a braccio antiaerei e anticarro, gli equipaggiamenti eccetera sono cominciati ad affluire dopo il 24 febbraio, data d’inizio dell’invasione. Alle accuse dei repubblicani la Casa Bianca risponde "non volevamo provocare". Altro punto: le forniture sarebbero dovute avvenire nella più assoluta riservatezza. Nessun annuncio preventivo che comportasse un coinvolgimento aperto della Nato, cercando anzi di mantenere aperti i canali diplomatici. E non a caso gli europei si sono dissociati dalle definizioni di "criminale" e "macellaio" con cui Biden ha ...
© Riproduzione riservata