Una narrazione viva, reale, dei pronto soccorso in Italia. Una riflessione lucida su un mondo fragile da parte di chi – da medico e direttore – ci ha passato 40 anni. Storie, ferite e possibili rimedi raccontati da Daniele Coen in Corsia d’emergenza (Chiarelettere). Una riflessione ancor più importante dopo il decreto sulle aggressioni ai sanitari che rende applicabile l’arresto in flagranza di reato differita. Un giro di vite per dare risposta alla lunga serie di aggressioni, dai medici barricati a Foggia al pugno sferrato da un paziente del Galliera di Genova.
Il filo rosso che lega le storie di Coen è la descrizione dell’umanità, la fallibilità dei medici. "L’errore medico – scandisce Coen – quasi mai si esaurisce nella défaillance di un singolo. Per il medico di pronto soccorso pesano i ritmi di lavoro: deve seguire 10-15 pazienti per volta. L’errore fa parte della medicina ma per troppo tempo è stato visto come un’onta individuale. Solo da poco si è capito quanto ragionare sulle dinamiche che causano uno sbaglio possa aiutare a migliorare. L’atteggiamento costruttivo è inibito dallo spettro della responsabilità penale: l’Italia è, con la Polonia, unico Paese in Europa in cui gli errori sono perseguibili penalmente. Il 95% dei medici citati in giudizio viene assolto, spesso dopo anni. E il medico diventa la seconda vittima perché il suo agire è condizionato da quanto ha passato. Attua la “medicina difensiva“, cioè prescrive molti più esami del necessario per paura di sbagliare".
È a favore di una depenalizzazione dell’errore medico?
"Sì, consentirebbe di gestire meglio le cose. Non vuol dire che chi ha subìto un errore non debba essere risarcito. Ma si può passare per vie diverse da quella penale, come procedure di conciliazione e cause civili. È necessario riconoscere un errore, ma va eliminata l’angoscia generata dal senso di colpa. La medicina difensiva ha un prezzo, si stima 10 miliardi all’anno".
Intanto aumentano i casi di violenza in pronto soccorso.
"Non è un problema solo italiano, né degli ultimi mesi. Una percentuale di violenza fa parte del rischio professionale: tra gli utenti ci sono persone sotto influsso di alcol e droga, con problemi psichiatrici, violenti. Per arginarli basta la presenza fissa di vigilanti o guardie giurate".
E le violenze verbali, circa i due terzi di quelle denunciate?
"Il sistema è inefficiente, tutt’altro che accogliente. Quando si è costretti ad attendere ore per una visita o giorni sulla barella prima di avere un letto, sfido chiunque a non innervosirsi. Serve il lavoro di prevenzione: migliorare l’organizzazione, ampliare gli spazi, fare attenzione ai bisogni degli assistiti. Ci vogliono tempo, denaro, volontà. E curare la comunicazione tra medico e paziente".
Lo stato di salute – precario – dei pronto soccorso non è che la punta dell’iceberg.
"Il pronto soccorso è la terra di mezzo, tra le criticità della e quelle dell’ospedale. La medicina territoriale è incapace di gestire le necessità della popolazione e le scarica sugli ospedali. Questi sono in crisi, tra 2000 e 2020 sono stati eliminati 70mila posti letto. Così l’ospedale rimanda al territorio, in un palleggio che rimbalza sul pronto soccorso".
Le è mai capitato di chiedersi se ne valesse la pena?
"Mai. Ma posso dire di essere felicemente pensionato: i primi anni sono stati meravigliosi, ma col tempo è sempre più difficile. Per una presa di corrente in più ci si misura con una burocrazia che riduce all’inazione. Cento medici al mese abbandonano. E questo dovrebbe farci riflettere".