Giovedì 25 Aprile 2024

Morto Gorbaciov: dall’Urss alla Russia, l’uomo che cambiò il destino del 900

La Perestrojka, il crollo del Muro, la fine della Guerra fredda. Ultimo presidente dell’Unione sovietica, aveva 91 anni

Mikhail Gorbaciov

Mikhail Gorbaciov

Danke Gorby, scrissero a letti cubitali su un tratto del muro ancora intatto e bianco. Grazie a Gorbaciov si chiuse un infinito, tragico dopoguerra, vissuto con la paura di un nuovo conflitto. Quando giunse al potere, pochi ebbero fiducia in lui. Le sue parole, Glasnost e Perestrojka, trasparenza e cambiamento, suonavano come slogan retorici. È un maestro della propaganda, disse Helmut Kohl, ma poi cambiò rapidamente idea. Conquistò prima gli occidentali che i suoi russi che cercò di cambiare, con una fretta imposta dai tempi. Un paradosso.

Per avviare il Paese verso la democrazia, dovette accentrare i poteri, temeva che l’Unione Sovietica sarebbe andato a pezzi, come poi avvenne. Il tempo rimasto quasi immobile dal 1945, a un tratto prese correre vorticosamente. Uomo di grande statura morale, ma gli venne rimproverato di non avere acume politico. Un complimento. Se avesse agito seguendo un calcolo, nulla sarebbe cambiato. Da giovane, a trent’anni, grazie alla sua ruolo nel partito, aveva viaggiato in Occidente, era stato nella Germania Ovest, in Canada, in Gran Bretagna aveva incontrato Margaret Thatcher. Aveva conosciuto il mondo libero, e sapeva come avrebbe dovuto riformare l’Unione Sovietica. Nonostante quanto poi si disse di lui, non era solo un sognatore. Un anno prima della caduta del muro, andò a Praga e disse: ero qui, quando la vostra primavera, quella di Dubcek, venne soffocata dai panzer dell’Armata Rossa, e vi dico che non avverrà mai più.

Nell’ottobre dell’89, giunse a Berlino Est, per festeggiare il quarantesimo anniversario della Ddr. E i tedeschi oppressi dal regime comunista, fischiarono i loro capi, e acclamarono lui. Gridavano sull’Alexanderplatz. "Gorby, salvaci tu". Un mese dopo cadde il muro. Ma qualche giorno prima, Gorbaciov diede ordine ai suoi generali di non intervenire contro la rivoluzione pacifica, contro i dimostranti, a Berlino, a Lipsia, a Dresda, come a Praga o a Budapest. La Germania Est era occupata da mezzo milione di uomini dell’Armata Rossa, da centinaia di panzer, il più grande esercito della storia in una zona così piccola. Fu Gorbaciov a decidere mentre il mondo tratteneva il fiato, tra speranza e timore. E lui ordinò che nessun soldato, nessun carro armato uscisse dalle caserme. Una decisione che salvò la Germania e l’Europa, e che pagò cara. Era giunto al potere giovane, ma troppo tardi. L’impero del male, come l’aveva definito Ronald Reagan, era un gigante malato. Solo un nuovo despota avrebbe potuto imporre con la forza il cambiamento, che Gorby sognava. Non riuscì a controllare la corruzione, impresa impossibile. Fu considerato dai suoi russi un traditore.

La sua polarità in Occidente, dove veniva accolto come una star a fianco della moglie Raissa, era controproducente a Mosca o a San Pietroburgo. La sua opera viene premiata con il Nobel per la Pace. Nel 1991, viene deposto dal golpe inscenato per salvarlo. Al potere giunge Boris Eltsin, Gorbaciov preferisce non resistere, sarebbe inutile. Ed è l’inizio della fine. Fu colpa sua? Ha perso il potere, ma non prestigio, scrive, è invitato a parlare ovunque, a spiegare. Nel 1999 accetta anche l’invito a intervenire al festival di Sanremo. Un peccato di vanità? Ma anche all’Ariston parla al popolo della musica che gli piaceva da giovane, sa arrivare al cuore della gente. Mette in guardia contro quel che sta per accadere. Si tornerà indietro, stava già per iniziare l’era di Putin.