Venerdì 26 Aprile 2024

Addio a Mihajlovic La lotta contro la leucemia Guerriero sempre all’attacco

L’ex calciatore e tecnico è morto in una clinica a Roma: il peggioramento improvviso. Dopo l’annuncio della malattia era tornato ad allenare il Bologna. Emaciato, debole, mai rassegnato

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di Gianmarco

Marchini

C’è una barriera insuperabile, anche per chi è stato forse il migliore della storia nel calciare le punizioni. L’ultimo pallone di Sinisa Mihajlovic si è infranto ieri contro quel muro. In una clinica romana, dove il 53enne serbo stava affrontando gli ultimi minuti di una lunga e massacrante partita contro la leucemia, il suo peggior nemico da quel luglio 2019. L’aveva battuto una prima volta: il trapianto di midollo a ottobre e a dicembre era già in campo a guidare il suo Bologna. E quando lo scorso marzo la spia rossa si è riaccesa, lui era convinto di vincere ancora, armato dalla forza di vivere. Che non è solo voglia: è un sentimento più ostinato che ha accompagnato Sinisa in ogni istante degli ultimi tre anni. La forza di ammettere la paura e mostrarsi debole ("quando ho saputo della malattia, mi sono chiuso in camera due giorni a piangere"), lui che sullo stereotipo del guerriero aveva costruito una carriera. Ci lascia immagini che resteranno impresse a fuoco nella memoria collettiva. Una su tutte è datata 25 agosto 2019: lui scheletrico, sotto il fuoco di terapie durissime, si presentò a bordo campo al Bentegodi di Verona per il debutto dei suoi ragazzi. "Avevo promesso loro che ci sarei stato", spiegò con un filo di voce, forzando il parere dei medici del Sant’Orsola.

Questo era Mihajlovic, e per questo ieri il mondo dentro e quello fuori dal campo si sono uniti in un coro di ricordo e commozione. In questi anni abbiamo scoperto la grandezza dell’uomo Sinisa dopo aver conosciuto e accompagnato la parabola del campione. Legame strettissimo, quello con l’Italia in generale, dove il serbo arrivò nel 1992 poco più che ventenne: diamante levigato nella nobile scuola della Stella Rossa di Belgrado, all’epoca nell’élite europea. La Roma con Boskov, poi la Samp, quindi la Lazio che diventerà la sua seconda casa, e infine l’Inter. In nerazzurro vede l’alba anche la sua carriera in panchina, come vice di Roberto Mancini, grande amico dai tempi blucerchiati. Ma è a Bologna che Mihajlovic si ‘laurea’ allenatore, quando nel novembre 2008 la presidentessa Menarini lo chiama in corsa. Arrivano poi il Catania, la Fiorentina, la sua Serbia. E ancora: Samp, Milan, Torino e di nuovo il Bologna nel gennaio 2019 per rimpiazzare Pippo Inzaghi. Insieme i rossoblù e Sinisa hanno scritto pagine meravigliose di calcio – incredibile la cavalcata con cui, pronti via, portò la squadra dalla retrocessione al decimo posto – ma soprattutto pagine di vita. Nella salute, ma ancor di più nella malattia. Un legame tra Sinisa e i bolognesi sconfinato ben oltre il perimetro del calcio: il pellegrinaggio dei tifosi a San Luca, la cittadinanza onoraria, la sofferenza condivisa, i giocatori sotto la finestra d’ospedale. Polaroid di una storia speciale che non si è interrotta nemmeno lo scorso settembre quando, complice una crisi di risultati, la società congedò il serbo per sostituirlo con Thiago Motta. E a marzo nessuna città è stata colpita come Bologna dal fulmine della recidiva, con la leucemia che si ripresenta a cielo ormai sereno. "Se non le è bastata la prima lezione, gliene darò un’altra", tuonò lui, convinto ancora una volta di farcela. Ha lottato fino a ieri. Sono di appena due settimane fa le immagini del serbo sorridente alla presentazione del libro di Zeman. Era la prima uscita pubblica dopo mesi e ci aveva illuso fosse la luce di una ripresa: purtroppo era l’ultimo lampo di una stella già spenta.

Nella lunghissima battaglia i tifosi non l’hanno mai abbandonato, gli sono rimasti vicini soprattutto nelle ultime ore, quando le notizie sul peggioramento delle condizioni divampavano sui social, là dove i fuochi sono spesso alimentati da sciacalli e cretini. E c’erano tifosi anche fuori dalla clinica ieri, dopo il tragico annuncio firmato dalla moglie Arianna, dai loro cinque figli, dalla madre Vikyorija e dal fratello Drazen. Una famiglia a cui ora si stringono forte Bologna e tutta l’Italia che hanno davvero voluto bene a questo eroe senza il lieto fine. I funerali si terranno lunedì a Roma.