TARANTO, 19 agosto 2012 - «COME cittadino devo constatare che qualcosa si muove e questo fa ben sperare. Ma come magistrato io ho il difettaccio di avere trent’anni di esperienza e voglio vedere proprio i fatti. Sicuramente seguiranno, non faccio mica un processo alle intenzioni, però li voglio vedere».

Franco Sebastio è il Procuratore della Repubblica di Taranto. E il giorno dopo la venuta dei ministri nella sua Taranto, cortesemente ma fermamente respinge chi vuole tirarlo per la giacchetta.


Procuratore Sebastio, a Taranto sarà possibile salvaguardare al tempo stesso le ragioni del lavoro e quelle dell’ambiente?


«È quello che ognuno si augura. Vedo che tutti, forze politiche, sociali, l’azienda stessa, lo affermano, e questo è un bene. Ma come magistrato non partecipo alle concertazioni. Noi dobbiamo stare rigorosamente fuori dai tavoli».


Però un colloquio telefonico con il ministro Clini l’ha avuto.


«Per cortesia, garbatamente. Non c’è nulla di male se parlo con un ministro della Repubblica. Ma come ho sottolineato in tutte le mie lettere scritte alle autorità i questi anni, la leale collaborazione è doverosa, ma nell’assoluto rispetto delle rispettive competenze».


Ma lo vedrà nelle prossime settimane?


«Magari sì, ma non è questo il punto. Può capitare. Quel che è certo è che noi dobbiamo andare avanti lungo la nostra strada. Nel codice di procedura penale non esistono le trattative con il potere politico o con soggetti esterni al processo. La sola trattativa prevista dal codice è il patteggiamento con l’imputato».


Certo, il fatto che buona parte delle indicazioni della magistratura tarantina verranno recepite nelle prossima autorizzazione Aia è, come ha osservato il procuratore generale di Lecce, una vostra vittoria…


«Ma no, meglio abbandonare i termini guerreschi. L’azione del magistrato deve produrre risultati in funzione dell’indagine della quale si sta occupando, non all’esterno. Il magistrato non deve cambiare la società ma accertare se ci sono stati reati e perseguirli. Il resto non ci deve competere».


Molti dicono che la magistratura tarantina nei decenni passati è stata un po’ distratta sui problemi ambientali del polo siderurgico…


«Ma come si fa a dire che abbiamo chiuso un occhio! Qualcuno pensa veramente che noi ci saremmo svegliati solo oggi e che ci scateniamo contro l’Ilva perché è un’azienda privata mentre prima non avevamo il coraggio di toccare l’Italsider che era pubblica? Se qualcuno lo pensa, sbaglia di grosso. La prima indagine contro l’Italsider è del 1982, ho personalmente condannato l’allora direttore Sergio Noce per diffusione di polveri. Poi l’Italsider è stata condannata per gli scarichi inquinanti a mare. E sempre per quanto riguarda questa azienda ad ottobre ci saranno le udienze di due grossi processi penali per la morte per mesotelioma pleurico di 30 operai. E sono stati rinviati a giudizio ben ventinove tra direttori e manager che si sono succeduti in trent’anni alla guida dello stabilimento. E ricordo che già dopo il 1982 la nostra azione determinò l’avvio di una serie di interventi di ambientalizzazione, per esempio il sistema di irrorazione con acqua dei parchi minerari per evitare la diffusione delle polveri. E si creò un fondo per gli interventi ambientali».


Stavolta avete fatto ben di più, l’Ilva è una questione nazionale. I ministri Passera e Clini le hanno lanciato un appello a non far chiudere gli impianti stante la volontà di tutti di avviare un processo virtuoso. Cosa risponde?


«Che un appello fatto a un procuratore da un ministro sarebbe improprio. Chiamiamole dichiarazioni. Ma nessuno mi chieda di rispondere a sollecitazioni che non devono e non possono riguardare la mia sfera di competenza. Consiglio però di attendere le motivazioni del Tribunale del Riesame, che sicuramente chiariranno eventuali dubbi interpretativi sulle ordinanze».
 

 

di Alessandro Farruggia