Mercoledì 24 Aprile 2024

La prova della verità

Roma, 15 agosto 2018 - Non basterà un vertice di governo alla vigilia di Ferragosto (per di più telefonico) a rassicurare i mercati e gli investitori internazionali, sempre più nervosi verso un Paese dalla finanza pubblica ancora debole e fragile come l’Italia. Non basteranno gli annunci di rigore e di riforme, lanciati con comunicati firmati a più mani da Conte e Tria, Salvini e Di Maio. Non basteranno e non possono bastare, né il summit né le promesse di controllo del debito e dei conti, perché sull’Italia e sull’esecutivo esecutivo giallo-verde sono stati accesi da mesi potenti riflettori proprio da parte dei signori dello spread. Tanto più in uno scenario critico e precario a livello europeo e mondiale con la crisi turca e le pericolose incertezze sugli esiti della Brexit.

Il problema è che, come Paese, non eravamo ancora usciti dalla quarantena dell’ultimo decennio che, nell’arco di pochissimi mesi, siamo finiti di nuovo sotto la lente degli osservati speciali. E le ragioni vanno sicuramente cercate nell’avvicinarsi di quella che sarà la prova della verità del governo grillino-leghista: la legge di Bilancio, con tutto il carico di verifica degli impegni elettorali e «da contratto» che la manovra comporterà. Ma vanno individuate anche nel primo atto di politica economica della maggioranza sovranista: il cosiddetto decreto Dignità, accolto come una sorta di anticipo della «finanziaria».

Per rendersene edotti, basta richiamare alla memoria la «famosa» lettera al governo italiano dell’agosto 2011, firmata da Jean-Claude Trichet, allora numero uno della Bce, e da Mario Draghi, alla guida della Banca d’Italia. Ebbene, se si usa quel testo come benchmark, ci si accorge del repentino allontanamento e, anzi, dei passi indietro compiuti e proposti dal governo attuale rispetto a quel sentiero stretto e lungo di stabilità nella finanza pubblica e di riforme strutturali. Quattro indicatori sono più che sufficienti per segnare la distanza. Sulle regole del lavoro e sul welfare, sulle liberalizzazioni e privatizzazioni, sulle pensioni, e sul taglio della spesa pubblica come una modalità per finanziare riduzioni fiscali, le mosse di Salvini e Di Maio vanno in tutt’altra direzione. E non possono essere certo il presidente del Consiglio e il ministro dell’Economia a garantire, da soli, per i due azionisti di maggioranza del governo.