Mercoledì 24 Aprile 2024

Gli imbucati alla festa

Alzi chi non si è mai imbucato a una festa. Si entra con qualcuno invitato, si fa finta di niente, si saluta il padrone di casa da lontano (se necessario) con un sorriso in modo che quello si senta in colpa per non riconoscerlo (o lo riconosca chiedendosi come mai lo abbia invitato) e si va avanti così, uscendo a fine serata con la naturalezza con cui si è entrati. Si dice che Silvio Berlusconi, il politico di gran lunga più titolato della compagnia (ma anche quello più povero di voti), stia valutando perfino questa ipotesi pur di non essere escluso da un governo Di Maio – Salvini. Una partecipazione al gabinetto con figure non di primo piano, ma con un appoggio politico decisivo. Dovrà passare del tempo prima che si arrivi al dunque, perché il primo giro di consultazioni – la settimana prossima – si annuncia come un dialogo tra sordi. Pur guidando la coalizione più votata, Matteo Salvini ha rinunciato a palazzo Chigi.  Ma dice che non potrebbe mai fare il vice di Di Maio: sarebbe un suicidio politico. Lega e Movimento 5 stelle avrebbero insieme la maggioranza alle due Camere, ma Salvini non intende lasciare gli alleati con i quali divide centinaia di giunte, senza contare che i seggi decisivi sono stati conquistati dalla Lega nell’uninominale anche con i voti degli altri partiti di centrodestra.   

Si aggiunga che in estate potrebbe arrivare la riabilitazione giudiziaria di Berlusconi, pronto a scendere in campo come candidato fin dall’autunno. Saranno sufficienti questi due scogli a impedire che alla fine si raggiunga un accordo?

I Cinque Stelle fin dall’indomani delle elezioni dicono che non guardano alle poltrone, ma ai programmi. Giusto. Il paradosso è che sui programmi Di Maio e il centrodestra sono sorprendentemente vicini. Se Danilo Toninelli, braccio destro di Di Maio al Senato, dice di accettare la flat tax purché sia costituzionale (cioè progressiva) e non lasci per strada i poveri e se Salvini accetta il reddito di cittadinanza purché non sia una rendita a vuoto, ma serva a far tornare al lavoro i disoccupati, l’accordo di governo è bell’e fatto. Dunque, è questione di poltrone e di invitati alla festa. C’è una comitiva che forse un invito lo rimedierebbe pure, ma è selvaggiamente divisa sull’opportunità di accettarlo. Il Partito democratico. Il M5s punta a spaccare il partito e a mettere in minoranza Renzi. Lo ha umiliato privando la sinistra per la prima volta dal 1948 di questori parlamentari. La delegazione che giovedì salirà al Quirinale è composta da due renziani usque ad finem (Orfini e Marcucci) e da due renziani più tiepidi (Martina e Delrio). Gli uni controlleranno gli altri. È scontato comunque che giovedì dicano a Mattarella che il Pd non è disponibile ad accordi di maggioranza. Reggerà questa posizione nel tempo? Renzi è convinto di sì. Per una maggioranza con i 5 stelle – dice – è necessario il 93 per cento dei seggi Pd. «E io escludo che solo il 7 per cento si riconosca nelle mie posizioni». Molto realistico. A meno che Renzi non venga investito da un’automobile. Ma lui attraversa solo sulle strisce e guarda che da destra e da sinistra non arrivi nessuno…