Mercoledì 24 Aprile 2024

Se il sogno muore

A che età è giusto smettere di sognare? Esiste un’età che possa fare a meno dell’immaginazione, la capacità di allargare la realtà e farne una casa più vasta? Quando ho saputo del sondaggio sull’incapacità di troppi genitori di tutelare questa facoltà continuando a nutrire il mito di Babbo Natale, svelandone la finzione ai figli di pochi anni, non sapevo se provare più pietà dei figli che dei padri. «L’acqua l’insegna la sete», sosteneva Emily Dickinson.

E così anche la tutela di quella parte di noi che smuove le montagne: la fede, la fantasia, l’intuizione, si accendono se vengono coltivate come un seme fragile che muore, senza le nostre cure, fin dall’età di quei bambini delusi da quei padri. Ben tristi genitori coloro che precedono la resa alla realtà nei figli anticipando quel che non c’è fretta di accelerare. Padri e madri che rinunciano a sapere indurre il bisogno di favole, difficilmente saranno educatori capaci di ispirare quel genere di scontento della realtà e quella fede di cambiarla.

Non abbiamo bisogno di uomini piccoli, persuasi che la loro durata sia contata sul pronto consenso a quel che li stringe ogni giorno nel quotidiano. I bambini devono potere sopravvivere anche nella carne dei vecchi. La felicità ci viene dall’inquietudine e dallo scontento della realtà. Lo stesso che mosse l’Ulisse di Dante a spingere all’avventura i vecchi dal cuore di bambini che erano i suoi compagni di viaggio: «Fatti non foste a viver come bruti/ ma per seguir virtute e canoscenza».

Guai a deludere lo sguardo che ancora ha il dono divino di non fare differenza fra sogno e realtà. Uno sguardo dono naturale dell’infanzia e che però torna a riaccendersi anche in noi grandi quando ci innamoriamo di una persona o di un ideale. L’evasione dalla tortura del narcisismo, la fiamma della passione amorosa o civile, l’unico fuoco capace di innalzarci al divino che è in noi, sono stati beati che si cominciano a gustare con la domanda del bambino ai padri e ai nonni avviati a concludere una favola: «E poi?». Perché infinita è la sete del sogno.