Firenze, 30 aprile 2020 – Oggi festeggiamo Carlo Betocchi, perché è lui il vincitore di questa nostra gara di aprile con il post Pasqua con Carlo Betocchi! Lo accompagnano sul podio, posizionandosi al secondo e al terzo gradino, altri eccellenti poeti del Novccento italiano: Alfonso Gatto, Guido Gozzano ed Eugenio Montale (argento alla pari, rispettivamente con 25 Aprile con Alfonso Gatto, Gozzano e le signore golose e Montale e gli uomini che non si voltano), e Andrea Zanzotto (medaglia di bronzo, con il post del Lunedì dell’Angelo La Pasqua di Andrea Zanzotto). Niente di più articolato e a suo modo armonico – in nome della poesia e delle sue attestazioni novecentesche passate al vaglio della vostra attenzione e del vostro giudizio durante il mese di aprile – si sarebbe potuto pretendere. E riconosciamo pure che la poesia e gli uomini attraverso i quali la poesia ci parla ci hanno fatto grande compagnia e ci hanno comunicato un’intima, profonda speranza in questo mese difficile per tutti: drammaticamente difficile per l’Italia e per il mondo intero!
Tra i molti commenti dedicati a Betocchi e al suo post pasquale ci piace segnalare quelli di Matteo Mazzone, Antonella Bottari e Aretusa Obliviosa. Eccoli, nell’ordine: “Una delle più importanti personalità del panorama letterario internazionale, verso la quali si accende da parte del lettore colto quel concetto di ‘oggettività d’ammirazione’, in quanto personificatore di un’arte unanime, globale, per tutti. Betocchi poeta della semplicità stilistica, riecheggiante – almeno in questo testo – una cadenza pascoliana: come i rapidi e semplici quinari conclusivi di ciascuna strofa. Semplicità dello stile dunque, elaborata e connaturata con una profonda conoscenza letteraria, dove i modelli precedenti e contemporanei si misurano, si fiancheggiano, si abbracciano. Al poeta dobbiamo la riscoperta della poesia come movimento in lento, in adagio, delle sensazioni umane, dei sentimenti etici e morali. Sulla scia di Sbarbaro, di Rebora, poi di Penna, Betocchi poco conosciuto, poco letto, (ma forse come i citati) deve conoscere obbligatoriamente una rivalutazione metaletteraria: il riconoscimento di un modello di dolcezza, un maestro di semplicità e delicatezza”; “La Croce, la Pasqua e Betocchi. ‘La Croce irraggia luce dal Calvario, / di nuovo posta da Rosmini al sommo: / dice in salvezza del mondo precario / che un solo Amore è vero e necessario’. Al tema della croce è dedicata questa poesia di Rebora, scritta per la festa di Cristo Re del 1955, in occasione del centenario della morte di Antonio Rosmini; premessa necessaria ad introdurre il percorso spirituale di Betocchi il quale anche in “Resurrexit” riflette sul mistero pasquale, dato che in un verso si percepisce nettamente il desiderio di rinnovamento insito nel mistero della Pasqua: ‘Via il peso delle private abitudini!’. Il mutamento, invocato come si invoca la pioggia benedetta è desiderio di Grazia da condividere. La poesia scelta oggi, dedicata a Caproni, reca in sé traccia ineludibile, a mio parere, di questo percorso spirituale, ma in diverso modo. Si apre con uno scenario di croci sul monte e sulle colline: croci, croci di poveri come quella di Cristo, povero tra i poveri, che ebbe una croce rimediata tra gli scarti di un falegname, ‘eppure estesa, ed alta, ed indomabile / e tentennante com’è la miseria’. La precarietà diviene, come in tutto il Novecento, garanzia di reattività e di grandezza. Gli auguri non sono di circostanza, ma dettati dal profondo dell’ essere vivi e dal cuore che patisce solo di non amare. È un messaggio ideale, da poeta a poeta, da anima ad anima, con fede il primo, indirizzato ad un uomo stanco e provato anch’egli da un senso di sconforto temporale. Come una carezza affettuosa, mite e meditativa, che oggi è anche per tutti noi. Auguri professore, e grazie”; “Ci volevano forse le tante nostre croci, le bare anonime e tutte eguali, la sofferenza di questi giorni, questa strana Pasqua frutto delle nostre colpe e delle croci che lacerano il nostro ego. Ci voleva questa nostra vita ridotta ad un niente eppure così bramata, come acqua nel deserto, per capire l’essenza di questa poesia. L’amore, l’amore che passa attraverso la croce, è l’unica cura. L’unico senso che la Pasqua possa avere”.
Ma bello anche il commento di framo: “‘Tu non scrivi le parole… scrivi con le cose, anzi coi corpi vivi e viventi, anche quando appartengono al regno minerale o a quello del puro spirito…’. Queste poche frasi, tratte da una delle tante lettere di Caproni all’amico Carlo, assieme alla stima evidentemente reciproca, raccontano di una vicinanza tra poeti autentici, ‘naturali’ – nel senso di non ‘voluti’ -, poeti senza posa, e del loro umanissimo, comune sentire, teso a non volere ‘fare versi che non si siano patiti di persona’ (citando liberamente Betocchi in una delle tante lettere all’amico Giorgio). Come non amare un poeta che all’amico poeta scrive: ‘senza una parola di vita non c’è né inferno né paradiso e senza inferno e paradiso non ci sono poeti’? Evviva Betocchi, evviva Caproni”.
Buona conclusione di mese, dunque, con i nostri poeti d’aprile, e buon maggio alle porte, ancora all’insegna della poesia: quella poesia che sempre, ma soprattutto nei momenti che tragicamente ci confondono e ci sbaragliano come quello che stiamo attraversando, ci aiuta a vivere!
Marco Marchi
Pasqua con Carlo Betocchi
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Firenze, 12 aprile 2020 – Auguri di Buona Pasqua con versi bellissimi di Carlo Betocchi: versi da lui scritti per augurare la Buona Pasqua a un altro poeta «fratello» in umiltà e grandezza, Giorgio Caproni. E nuova occasione per segnalare che il «caso Betocchi» resta uno scandalo letterario del nostro tempo. Se Firenze non da oggi ha dedicato a Carlo Betocchi un centro studi e un premio che ogni anno si celebra, se a Firenze in perfetto orario sulla data anniversaria ha degnamente ricordato nel 2016 il trentennale della morte del poeta, altrove a un autore tra i massimi che la letteratura italiana novecentesca abbia avuto si tende spesso a negare il riconoscimento che gli spetta: un riconoscimento che dovrebbe risultare unanime e convinto per evidenza di fatti (valga anche la stupenda poesia di oggi, Per Pasqua: auguri a un poeta).
Si continua al contrario a trovarci di fronte ad un poeta dimenticato o nel migliore dei casi sottovalutato e frainteso. Giocano contro Betocchi – lo abbiamo altre volte notato e torniamo a ripeterlo – molti elementi: la sua toscanità un tempo vincente, il suo esibito ancorché discusso cristianesimo, la sua stessa, autorizzata e semplificata, immagine di poeta per dono, per grazia ricevuta, che al contrario abbina ai suoi innati talenti alte dosi di conquistata cultura. Tutto congiura a penalizzare un messaggio meraviglioso, trepidante e inquieto, quanto mai necessario in un mondo che sempre di più si dimentica, assieme alla poesia di Betocchi e alla poesia tout court, dell’uomo.
L’invito, per reagire, è quello a rileggere l’autore di Realtà vince il sogno, L’Estate di San Martino e le Poesie del Sabato, e a rileggerlo in Tutte le poesie ristampate di recente da Garzanti secondo la felice immagine-sigla che di lui ci ha lasciato Andrea Zanzotto: «poeta dei tetti, delle tegole» e insieme «poeta del cielo». Betocchi – da poeta «terrestre e celeste», per dirla con un altro grande poeta suo amico, Mario Luzi – è là, sull’arduo discrimine in cui l’«io» e il reale si incontrano, s’interrogano, comunicano. «Dai tetti», per dirla con un titolo betocchiano, secondo quel simbolico luogo deputato della trascendenza a portata d’uomo, linea di confine tra dimensioni che si integrano, di appannaggi umani irrinunciabili e spiritualmente qualificanti.
Auguri di Buona Pasqua con Carlo Betocchi!
Marco Marchi
Per Pasqua: auguri a un poeta
a Giorgio Caproni
Giorgio, quante croci sui monti, quante,
fatte d’un po’ di tutto, di filagne
che inclinate si spaccano, di scarti,
ma croci che respirano nell’aria,
in vetta alle colline, dove i poveri
hanno anch’essi un colore d’azzurro,
la simile cred’io l’ebbe Gesù,
non già di prima scelta, rimediata
tra’ rimasugli d’un antro artigiano,
commessa con cavicchi raccattati,
eppure estrosa, ed alta, ed indomabile
e tentennante com’è la miseria:
ecco la nostra Pasqua onde ti manda
il mio libero cuore quest’auguri
pensando che non è per l’occasione
ma per quella di sempre, che si salva
dalle occasioni, del cuor che non soffre
che del non amare, e sempre sta in croce
con un cartiglio fradicio che in vetta
dice: È un poveraccio, questi che vuole
ciò che il mondo non vuole, solo amore.
Carlo Betocchi
(da L’Estate di San Martino, 1961, in Tutte le poesie)
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