Toscana di costa

Difficile mestiere, quello del recensore. Perché – piccola notazione autobiografica – quando si legge con passione il rischio di innamorarsi troppo (metaforicamente…) dell’Autore e dei protagonisti è sempre lì, pronto a colpire senza pietà alcuna. Specie se le vicende hanno uno sviluppo seriale. E’ il caso del pisano Marco Malvaldi, chimico di professione, giunto alla […]

Difficile mestiere, quello del recensore. Perché – piccola notazione autobiografica – quando si legge con passione il rischio di innamorarsi troppo (metaforicamente…) dell’Autore e dei protagonisti è sempre lì, pronto a colpire senza pietà alcuna. Specie se le vicende hanno uno sviluppo seriale. E’ il caso del pisano Marco Malvaldi, chimico di professione, giunto alla (se ho calcolato bene) settima avventura di Massimo e dei suoi vecchietti del Bar Lume. In A bocce ferme (Sellerio), l’Autore narra la storia di due delitti, entrambi legati al Sessantotto, icona politico-storiografica da cui l’Italia fatica a smarcarsi. Specie se, altro aspetto incomprensibile, ne ricorre un anniversario. A cinquant’anni da quell’anno “formidabile”, Malvaldi, con maestria e mestiere, ci propone un “cold case” di interesse certo.

Inutile entrare troppo nel dettaglio della trama. I vecchietti del Bar Lume e il gestore del bar, un sempre più scettico (all’apparenza) Massimo, si trovano di fronte a un testamento di un uomo – suo malgrado protagonista del Sessantotto – reo confesso (ma da morto) di un delitto. Delitto che mette in discussione una ricca eredità e che si intreccia col passato (il Sessantotto, appunto) e il presente (assassinio di chi tutto sa).

Ancora una volta – lo so: è un mantra della mia furia recensoria – la trama “gialla” può più o meno piacere (“garbare”, visto che si parla di Toscana di costa). E a me garba assai. Però, il valore assoluto, sfido chiunque a dimostrare il contrario, sta nell’atmosfera di Pineta, “location” del pisano e centro delle avventure narrate dal chimico pisano. Se po ci si aggiunge la capacità di Malvaldi di ritrarre i protagonisti con i loro tic e le loro qualità, il quadro è quasi completo. Anzi: “guasi”, per usare un toscanismo (di costa, of course). Malvaldi si dimostra un vero fuoriclasse nell’uso della lingua.

Dovete sapere, infatti, che il Nostro, sovente, cita Camilleri, “inventore” (ce lo spiega assai bene nell’ultimo numero di Micromega a lui tutto dedicato) di una lingua tutta (meravigliosamente) sua. Ecco, direi, con ragionevole certezza, che Malvaldi, senza nulla inventarsi, rende con lucido “verismo” la cifra linguistica di questa magnifica parte della Toscana che si stende tra Pisa e Livorno. Per chi ama quelle lande – e io ne sono innamorato perso da sempre – a leggere Malvaldi par di sentirsi a casa. Un rifugio sicuro, insomma. Un’oasi letteraria e sentimentale che ti difende dai pericoli della quotidianità.

Ciò detto, la trama di A bocce ferme, mi sembra un divertente (e utile) mix tra invenzione e memoria. L’intrigo c’è – in alcune parti anche troppo – e non promette facili svolte. Al contrario, ci sorprende improvvisamente e inaspettatamente. Eppure, a costo di apparire “blasfemi”, la forza del romanzo non sta nella trama poliziesca bensì nei personaggi. I vecchietti sono impagabili, ma il “barrista” Massimo ancor di più. Anche perché ha un’età rispettabile: cinquant’anni. E una fidanzata (Alice, poliziotta tostissima e dolcissima al tempo stesso) di trentasette anni. La quale gli pone – non senza provocare piccole tempeste che rischiano di evolversi in pericolosi uragani – il problema tipico delle coppie: fare o no figli? Massimo non è convinto. Alice, ovviamente, sì. Ma tanto, siamo di mondo…, decidono sempre le donne in questi casi. Osservazione banale. Eppur verissima. Meno banale, anche se un po’ tortuosa, la risoluzione del giallo. Laddove il messaggio dello scrittore è chiaro: mai perdere la memoria. Tutti, insomma, dovremmo avere un poker di lucidi vecchietti del Bar Lume. Inciamperemmo di meno negli ostacoli che la vita ci pone sul nostro cammino. Tutti i santi giorni.

PS Occhio. Non mi sono lasciato alle spalle il tormentone della letteratura cittadina. Sappia il lettore che il romanzo malvaldiano rende abbastanza bene di che cosa fosse Pisa in quell’anno di tumulti (e, in alcuni casi, di baggianate). Specie in zona stazione. Un tempo un gioiellino e luogo di contestazioni politiche. Oggi una fetenzia (e non meravigliatevi se in quel feudo una volta rosso vince la Lega. Ma questo è altro paio di maniche).

MARCO MALVALDI, A bocce ferme, Palermo, Sellerio, 2018, 14 euri